Perché le ragazze a Beverly Hills sono sopravvissute?
Sul perché è inutile far domande, ognuno ha i propri segreti a cui legarsi e tenersi stretto, scheletri nell’armadio da lasciare ad impolverare per evitare che il mondo sappia. Per questa ragione non dirò il motivo per cui da queste parti ci si trova a parlare di Ragazze a Beverly Hills (Clueless), film col talento di sapersi auto-eliminare dalla memoria. Un talento come una lama a doppio taglio: dimenticare può portare a rivedere con la convinzione di non sapere.
Orrori grunge
Amy Heckerling, regista che trasuda anni Ottanta da tutti i pori, nella prima metà degli anni Novanta decise di portare la sua conoscenza dello stile e della moda di un decennio per mostrarne gli orrori visuali e comportamentali.
Una generazione senza identità, confusa e grunge qui al top del lusso, un predecessore del più celebre (e stranamente migliore) Mean Girls con protagonista la bella reginetta Cher (Alicia Silverstone).
Bionda, alta, snella e civettuola come la sua amica Dionne (Stacey Dash) Cher sbuca fuori dalle pagine di Jane Austen, adattamento del personaggio del romanzo della scrittrice inglese Emma, ovviamente in versione contemporanea e collegiale, in cui una ragazza tutto corpo e niente cervello scopre l’amore, la verginità e l’importanza di farsi i fatti propri con l’aiuto indiretto di Tai (Brittany Murphy), una ragazzina ancora innocente (appunto, Clueless come anche la protagonista) e del suo fratellastro (?) Josh, un giovanissimo Paul Rudd.
La voce del fallimento
Inutile dire che la trama si avvolge su se stessa, costringendo lo spettatore a pedinare la vita patetica di Cher, una delle tante Ragazze di Beverly Hills con i soldi che escono dal rossetto e dalle tasche delle inguardabili giacche.
L’intero film è costellato dalla fastidiosa voce dei pensieri di Cher, un espediente qui sfruttato fino all’esasperazione a sfavore della regia della Heckerling, evidente segno di una totale mancanza di conoscenza del mezzo lanciato al fine (fallito) di creare un cult generazionale.
Il tentativo di replicare i successi degli eghties di John Hughes, di spegnere altre sedici candeline mentre altri son costretti a rimanere a scuola fino a casa: fallisce senza alcun motivo possibile per poter trovare la redenzione.
L’arte di sopravvivere
Del resto se gli anni Ottanta potevano vantare uno stile visivo ben definito e un momento d’oro per la musica, gli anni Novanta non possono dire lo stesso, avendo rifiutato tutto ciò che veniva prima accogliendolo alla rinfusa.
Tuttavia per motivi oscuri all’intelligenza umana – forse in futuro ci saranno mezzi scientifici migliori per comprendere questo fenomeno – il povero Ragazze a Beverly Hills continua a sopravvivere, non certo per l’interpretazione della giovane carina e scomparsa Brittany Murphy, il cui ruolo e aspetto qui è ancor così grezzo da non giustificare il culto dell’attrice.
Sarà perché la verginità è vista come il male per delle ragazzine di soli 17 anni – fin troppo grandi per i giorni d’oggi forse – o per il tema sottinteso di un incesto, ma qualcosa affascina quegli uomini e quelle donne che un po’ per caso e un po’ per masochismo decidono di dare aria alla bocca (rifatta?) di Alicia Silverstone, un fenomeno generazionale fortunatamente scomparso mentre i comprimari (quelli decenti) come Donald Faison e Paul Rudd sono riusciti ad andare avanti formandosi una carriera più o meno solida.