Nella DDR il regista Petzold è dalla parte delle vittime.
Barbara ha ancora gli occhi sul microscopio del laboratorio allestito dal suo collega e superiore André. Si alza, si sistema gli abiti, pronta ad andarsene, finché lui non decide di aprirsi e inizia a crudo a descrivere la copia del dipinto Lezione di anatomia del Dr. Nicolaes Tulp di Rembrandt appesa sulla parete del suo studio.
È all’incirca il minuto 25 de La scelta di Barbara, diretto da Christian Petzold, e nel quadro un corpo sezionato è steso su un tavolo, circondato dai medici che pendono non dalle labbra di Tulp, ma da un tomo di anatomia, dall’atlante del corpo umano che a noi osservatori non è dato modo di vedere.
Potremmo definirlo il motivo per cui André ha deciso di diventare medico, perché chi guarda al quadro, è con la vittima e non coi medici.
Meno di due minuti, una piccola scena diretta senza esagerazioni, senza movimenti di macchina penetranti destinati a entrare nello spirito dei personaggi: è una descrizione, pura e semplice, di come stanno le cose sulla tela e nel mondo macellato dalle linee invisibili dei confini stabiliti da tragici momenti politici.
Vivere sotto l’occhio della Stasi
Barbara Wolff (Nina Hoss) era un medico in un importante ospedale berlinese nella Germania Est della DDR, costretta a trasferirsi nella provincia dove lavorerà per André (Ronald Zehrfeld), dottore di mezz’età sacrificatosi per aiutare chi ha bisogno.
Lui sa tutto di lei, informato dagli agenti che l’hanno mandata in esilio, ma non è a conoscenza del piano di fuga organizzatoinsieme col suo amante. È una storia lenta, scorre senza fretta e senza fronzoli, La scelta di Barbara di Petzold, un film a scatole cinesi sulle vittime della Repubblica Democratica Tedesca.
Vittime sono gli uomini e le donne abbandonati, persone costrette davanti a un bivio dove dovranno scegliere se sacrificare la propria persona o chi sta loro accanto. All’incrocio si consumano mentre l’erba è smossa dal vento con gentilezza e la luce non è diversa dal Sole di una giovane primavera.
Tutto ciò che vediamo in Barbara è lo specchio della realtà.
Equilibrio
In molti hanno paragonato il film di Petzold al pluripremiato Le vite degli altri, un banale accostamento basato sui contenuti, il quale, però, aiuta nel far comprendere allo spettatore come si possa commuovere anche con l’abilità di saper bilanciare alla perfezione le parole e le azioni con le immagini.
Aiutato da un’interpretazione magnifica di Nina Hoss, così come del co-protagonista Ronald Zehrfeld, Petzold incanala la forza narrativa di Barbara tra le quattro pareti della scena su descritta e a usufruirne come un sasso lanciato sull’acqua.
Lo spettacolo comincia in grande con una lunga introduzione ai personaggi, alle loro espressioni e ai loro occhi stanchi di una vita oppressa, per poi colpire e lasciare gli spettatori sotto le onde dei cerchi concentrici sull’acqua, in aiuto per riflettere sul prima e, soprattutto, sugli eventi conclusivi de La scelta di Barbara.
È una visione essenziale della tragedia in cui i tedeschi sono stati sommersi fino alla caduta del muro di Berlino, una dimostrazione della possibilità di realizzare un racconto consapevole del dolore anziché autore di quest’ultimo.
Barbara non è il film che definiremmo un consueto “pugno allo stomaco”, la sua forza è nell’intelligenzadellarappresentazione, concentrata sul richiamo della sofferenza attraverso la normalità di un dialogo e del significato contenuto dal rapporto delle immagini, anche nelle forme del linguaggio più semplici immaginabili.
Non sono necessarie ricostruzioni storiche precise o enormi set decorati da macchina d’annata per dare a Petzold modo di far vivere un lungo istante di chiusura all’umanità da cui il cuore della nostra Europa fu duramente colpito nel Novecento.
Aiutano senz’altro le due ottime prove del direttore della fotografia Hans Fromm, con luci pulite e riflesso più del sentimento della terra che dei suoi protagonisti, e del compositore Stefan Will, mai invasivo, sempre presente.
Difficile spendere altre parole a favore di La scelta di Barbara, ma è doveroso insistere sulla bravura di Nina Hoss, sul cui volto scorre la potenza dell’ultima opera di Petzold, a cui dobbiamo lo splendido atto di chiusura, un gioco di sguardi tra i protagonisti su cui non può non partire un silenzioso applauso da parte di ogni singolo spettatore.
Fausto Vernazzani
Voto: 5/5
2 pensieri su “La scelta di Barbara (Christian Petzold, 2012)”