Mangiati vivi (Umberto Lenzi, 1980)

Mangiati vivi: se questo è un cult – di Roberto Manuel Palo.

Umberto Lenzi ha girato film ben peggiori dei suoi cannibal-movies e posso affermare con certezza che Mangiati vivi è effettivamente un’opera minore, però divertente, di poco inferiore a Cannibal ferox, girato l’anno successivo in risposta a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato.

Il gore, ovviamente, la fa da padrone, anche se per gli standard del genere non è poi così eccessivo.

La trama

A New York vengono uccise tre persone con delle frecce piene di veleno di cobra. L’assassino viene travolto da un camion ed è privo di documenti, si sa solo che è di origine asiatica e che porta con sé un filmino girato in 8mm di una certa Diana Morris (Paola Senatore).

Indagando, la polizia risale alla sorella della documentarista, Sheila (Janet Agren), scoprendo così che il filmato è stato girato nel Sud-Est asiatico dove Diana, da due mesi, non fa più avere sue notizie.

In questo luogo c’è una setta, la “Setta della Purificazione”, guidata da Jonas (Ivan Rassimov). Sheila partirà per cercare di riportare Diana a casa e si farà aiutare da un disertore del Vietnam che vive in quei luoghi, Mark Butler (Robert Kerman).

L’impresa si rivelerà ardua per due motivi: Diana viene drogata con strani composti che la obbligano ad obbedire a Jonas; nelle vicinanze c’è una tribù di cannibali, nemici della “Setta”, ma che allo stesso tempo Jonas utilizza per liberarsi dei “traditori”.

Fra cannibal e poliziottesco 

Se vogliamo essere puntigliosi al massimo con la classificazione di genere, possiamo dire che questo è un poliziottesco-cannibal perché, come mostra l’ampio incipit, si tratta di un’indagine sull’omicidio di tre persone nella città di New York, apparentemente senza motivo.

Il comparto femminile è una gioia per gli occhi dei maschietti e le scene di nudo e di sesso non mancano. Oltre alla Senatore (già attrice di commedie sexy che, successivamente, a causa dell’abuso di droga, si cimentò anche nel mondo dell’hard) e alla Agren, merita una menzione anche la bellissima attrice thailandese Me Me Lai che interpreta un’indigena vedova.

Musicato ottimamente da Roberto Donati e Fiamma Maglione, il film non è esente da gravi difetti, primo tra tutti il montaggio di Eugenio Alabiso che, in maniera involontariamente comica, non riesce a nascondere nessuno stacco tra una scena e l’altra.

Inoltre alcuni momenti splatter (ovviamente non mancheranno uccisioni reali di animali) sono prese da altri film del genere come Il paese del sesso selvaggio, diretto da Lenzi stesso, e La montagna del dio cannibale di Sergio Martino.

Come si nota dalle mie parole, a seconda dello stomaco e della personalità dello spettatore, Mangiati vivi potrebbe diventare un cult personale o un’accozzaglia inutile ed eccessiva di sesso e violenza.

Una storia vera

La vicenda è ispirata ad una storia vera: quella del reverendo Jones che creò una setta in Guyana e costrinse al suicidio collettivo più di 900 adepti.

Il film è stato distribuito anche all’estero, cosa molto rara nel panorama cinematografico nostrano. Attenzione, però: nelle nostre televisioni gira una versione “vergognosa” con dei tagli di oltre otto minuti, quindi state bene attenti qualora vogliate “procurarvelo”. La durata della versione ufficiale senza tagli è di circa 92 minuti, ma con la versione DVD andrete sul sicuro.

Nonostante la presenza di numerose scene ridicole, come quando la Toccata e fuga in Re minore di Bach riecheggia nel bel mezzo della foresta durante un rito, la pellicola di Lenzi è comunque godibile e consigliata agli appassionati del genere, ai forti di stomaco e agli animalisti (no, forse a loro no!).

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