House of the Dead e il declino di Uwe Boll – di Roberto Manuel Palo.
Se Rutger Hauer ha visto cose che noi umani non potremmo neanche immaginare, Uwe Boll è riuscito a fare cose che noi umani non potremmo né immaginare, né tanto meno concepire. Appassionato di videogiochi la cui “specialità” è trasporre, appunto, videogames al cinema con risultati da far drizzare i capelli.
Ma non è stato sempre così: il regista tedesco, una volta, era un regista indipendente e se la cavava anche piuttosto bene. Girò, nel 1994, l’interessante e morboso Amoklauf e, nel 2000, riuscì a confermarsi con Sanctimony e poi… l’improvvisa svolta hollywoodiana. Nel 2003 girò House of the Dead e da lì in poi diventò, senza alcun appello, uno dei peggiori registi viventi.
Cosa sarà mai successo? I soldi? Mancanza d’idee? Stravaganza del personaggio? Non lo sappiamo, fatto sta che la pellicola raggiunse presto la top 20 dei film più brutti in assoluto su Imdb, e ricevette critiche talmente negative che alcuni paesi, come la Danimarca, si rifiutarono di proiettarlo al cinema.
E che sarà mai, c’è da chiedersi.
Andiamo dunque con ordine: cinque studenti del college vengono a sapere da un loro amico che su un’isola nei pressi di Seattle si svolgerà un rave party. Quest’isola viene anche chiamata Isla de la Muerte. Decisi ad andarci, i cinque protagonisti cercano di farsi accompagnare dalla barca del capitano Kirk (già, sigh… interpretato da Jurgen Prochnow), il quale subito si rifiuta viste le dicerie e le leggende relative al posto in questione.
Dopo una trattativa della durata di ben trenta secondi, il capitano decide di accompagnarli. Al loro arrivo i ragazzi trovano l’allestimento del rave ma non c’è anima viva, piuttosto strano per un party. In compenso di anime morte ce n’è a bizzeffe, decise più che mai a cibarsi delle carni delle anime vive. Un vero film dell’anima, insomma.
Dal videogioco al disastro
Nato sulla scia del successo di Resident Evil del suo più acerrimo rivale per la palma di peggior regista Paul W.S. Anderson, House of the Dead è la trasposizione cinematografica del videogioco coin-op omonimo della SEGA. Se già la trama del videogame è tutt’altro che profonda (si deve semplicemente sparare a quanti più zombi è possibile, una sorta di Quake versione zombie), qui la sceneggiatura di Mark A. Altman e Dan Bates rasenta il ridicolo più assoluto grazie a falle visibilissime, grande confusione, noia e dialoghi esilaranti come questo:
Quegli esseri sono cadaveri animati come quelli che girano nei film di Romero. – Dove? – Nei film di Romero. Hai presente la trilogia degli zombi? Dicevano che avrebbe fatto il quarto prima o poi, ma io non credo!
Il fattore noia assoluta, principalmente nelle scene d’azione, non può neanche far rivalutare House of the Dead in chiave trash, perché mancano persino le risate involontarie. È invece irritante la scelta di Boll di intervallare le scene con un frame preso direttamente dal gioco, espediente che risulta fastidioso all’occhio vista la pessima grafica della fonte.
Grazie poi alla pessima recitazione, alla sparatoria in bullet time più lunga, fastidiosa e brutta della storia del Cinema, al sangue copioso ma mal rappresentato e alla scelta particolare di accontentare sia gli amanti degli zombie lenti che dei centometristi riunendoli insieme, sedersi a guardare l’opera di Boll è una delle esperienze più sconvolgenti e traumatiche che vi potrà mai capitare nella vostra lunghissima vita.
Amanti del brivido e degli sport estremi, fatevi avanti, io sono sopravvissuto, ma dite ai vostri bambini di non farlo a casa!
See You Soon.
Se pensiamo poi che Boll è convinto anche di essere un gran regista abbiamo il quadro completo.
Perfino Ed Wood possedeva più autoironia.
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Figurati che ha detto:”Se si mette una petizione che avrà almeno 1 milione di film, io sparisco dalla circolazione”. Forse il ragazzo non sa che, visto quello che ci propina, la cosa non è propriamente impossibile:D
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Pare brutto, brutto, ma brutto davvero…
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Se hai fegato, guardalo, te ne pentirai amaramente:D
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