La cerimonia - CineFatti

La Cerimonia (Nagisa Oshima, 1971)

La decadenza del Giappone che fu ne La cerimonia di ?shima– di Fausto Vernazzani.

È passata giusto una settimana dalla scomparsa di uno dei principali registi giapponesi della new wave degli anni ’60, Nagisa ?shima, morto per un’infezione polmonare, la stessa che colpì l’uomo dai trenta milioni di yen ne Il godimento. Buona parte del mondo lo ricorda per i suoi ultimi anni, per aver lanciato la carriera di Ryuichi Sakamoto, per il “peccato” mostrato integralmente ne Ecco l’impero dei sensi, ma il meglio della sua carriera è stato proprio a metà: Sh?nen e  L’impiccagione, ma soprattutto La cerimonia. Nel film del 1971 si racchiude la principale fetta dell’ideologia di ?shima, regista contro, desideroso di scrollare dalle spalle del cinema giapponese quella staticità da lui tanto ostracizzata.

Come si fanno a odiare personaggi come Ozu, Mizoguchi, Kurosawa è un quesito irrisolto, ma una ragione è da ricercare negli sconvolgimenti subiti dal Giappone in quei 15 anni di dopoguerra. L’imperatore fu costretto a dichiarare di non aver origini divine, gli Stati Uniti furono una forza d’occupazione per lungo tempo, la cultura nipponica si occidentalizzò e vari ideali delle generazioni passate si persero per strada da padre a figlio. Così ci insegnò col debutto di Racconto crudele della giovinezza, in perfetta linea col sentire del cinema mondiale di quei giorni, poi allargato in una critica ancora più ampia nel suo vero capolavoro La cerimonia: la storia è quella di Masuo e della famiglia Sakurada, distrutta dalla guerra e dai guai della cultura in evoluzione verso rotte impreviste e indesiderate.

Sopravvissuti alla Manciuria durante la guerra, Masuo (Kenzo Kawarasaki) e sua madre tornano in Giappone per riunirsi alla casa Sakurada, dove ad aspettarli non c’è solo il severo gelo del Nonno (uno statuario Kei Sat?), ma anche la notizia del suicidio del padre. Inizia così la ruggine a far sentire il suo peso sull’istituzione di una tipica famiglia patriarcale giapponese: ligia al dovere, legata all’onore forte di sani principi ereditati da una cultura che aveva resistito per millenni all’Occidente. Si passa di cerimonia in cerimonia, dal funerale del padre di Masuo al funerale della Nonna, dal suo matrimonio alla morte della zia Satsuko (Akiko Koyama). Sono momenti vissuti con grande tristezza, l’inadeguatezza di non essere al pari dei propri predecessori, l’amore mancato di Ritsuko (Atsuko Kaku) e l’angoscia costante di Terumichi (Atsuo Nakamura).

Cosa ne è stato del Giappone, un paese in caduta libera, esternato attraverso uno stile classico che prende a piene mani da quanto Ozu fece per tanti anni: ripropone il rapporto tra uomo e ambiente. ?shima compone l’inquadratura prostrando i suoi personaggi di fronte alle architetture dell’uomo e della natura, mostrandolo piccolo di fronte a ciò che è morto, sotto l’ombra di un Monte Fuji severo e sporco come il Giappone diviso tra mille idee politiche e le rivolte che han coinvolto il mondo intero nel corso degli anni. Forse un gesto di rispetto verso i colossi del cinema d’un tempo, forse un segnale aggiunto alla sua critica verso il passato e il suo tentativo di farsi strada con forza verso un tempo che più non appartiene al presente/futuro. Fotografa così il ritratto di un popolo unito solo per riti lontani dal cuore e vicini a memorie lontane, non dimenticando il sentimento, il suo deterioramento diretto sulla via del vuoto, sia nello spazio che nel tempo.

Casa Sakurada è l’immagine del Giappone fino agli anni ’70, distrutto nelle sue fondamenta, privato delle radici del suo orgoglio e dunque costretto entro dei termini che lo rendono più piccolo, più vile e più sporco. E’ l’emblema dell’oscurità sociale di cui gli occhi di ?shima sono intrisi, la dimostrazione di un suicidio di massa imposto tanto dall’esterno quanto dall’interno. La fotografia di Toichiro Narushima rende il colore degno della portata delle parole per immagini del regista, maturo e al massimo della sua vitalità e vivacità registica, maestro indiscusso di cui si sentirà la mancanza, ma che continueremo a ricordare proprio grazie a film come il bellissimo, Gishiki. 

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