Rob Zombie: un ritratto da aggiornare – di Francesca Fichera.
Chi ben comincia è a metà dell’opera: detto usato e abusato, ma calzante come non mai per quel che riguarda la carriera di Rob Zombie.
Il capelluto cantate degli White Zombie, gruppo alternative metal nato nel 1985 e poi scioltosi nel 1998, anno dopo il quale il suo fondatore continua a suonare come solista, esordisce alla regia con La casa dei mille corpi (House of 1000 Corpses, 2003), un horror grottesco e visionario stracolmo di citazioni e giochetti meta-filmici facente parte di una mini-serie cinematografica completata dal sequel La casa del diavolo (pessima traduzione del ben più funzionale titolo The Devil’s Rejects, 2005).
I due episodi stanno subito a dire due cose: la prima è che Robert Bartleh Cummings (vero nome dell’artista) possiede già uno stile in grado di filtrare con sapienza una personalissima interpretazione del genere (dove non esita a lasciare impronte, oltre che nell’impostazione registica, anche nella scelta e nella composizione delle colonne sonore); la seconda è che, talvolta, si fa reale quel motto (un altro!) che recita “L’eccezione conferma la regola”.
Perché se è vero che remake e reboot, specialmente nell’horror, risultano pessimi e deludenti rispetto ai loro predecessori, ogni tanto può giungere quel caso eccezionale in grado di far sperare e credere nella bellezza e nella varietà del mondo. E questo, se non avviene con il rifacimento in veste di newquel del cult Halloween, che ancora divide pubblico e critica, accade invece – e senza ombra di dubbio – con The Devil’s Rejects.
La casa del diavolo
Meno trash e confusionario del suo comunque splendido precursore, la cui sgranatura di fondo, unita all’insensatezza della trama, riesce in ogni caso a suscitare un generale senso d’angoscia e di claustrofobia nel divertito spettatore, TDR ripropone i laidi protagonisti della casa dei mille cadaveri in un’ottica di maggiore cura dell’impostazione creativa, a partire dal plot per finire con la fotografia.
In questa storia di sete di vendetta e di giustizia per gli innocenti (ossia i giovani torturati e trucidati dalla famiglia Firefly), della quale si fa promotore lo Sceriffo Wydell (William Forsythe), tutto sembra funzionare come ideale didascalia della canzone degli Stones Sympathy for the Devil.
E il campo semantico della parola inglese, traducibile in italiano come “compassione”, si estende oltre ogni limite.
Così per il Capitano Spaulding (clown grouchano interpretato da Sid Haig), la procace Baby (Sheri Moon, invidiabile moglie di Rob) ed il crudele Otis (Bill Moseley), in fuga dalla macchina vendicatrice innescata da Wydell, ci si sorprende a provare un certo tipo di sentita simpatia, misto a tenerezza e cinismo velato.
Nostalgia e politica
L’uso del Super16, poi, proietta chi guarda e chi è guardato in una dimensione patinata e nostalgica da b-movie dei decenni d’oro, cui contribuisce in larga parte la splendida antologia di brani rock selezionati a puntino per la soundtrack: le efferatezze di Spaulding & soci appaiono più sopportabili, forse quasi piacevoli, se a commentarle ci sono le canzoni degli Allman Brothers Band o dei Lynyrd Skynyrd – la cui Freebird, come già detto da queste parti, si rende complice di uno dei finali più stunning in assoluto della Storia del Cinema.
E, soprattutto, se la loro controparte si rivela più maligna di ciò che insiste a voler combattere, finendo con il suggerire molti degli elementi necessari a una riflessione socio-politica in tutto e per tutto assimilabile a quelle sottintese dai film di George A. Romero e Tobe Hooper.
Sympathy for Rob Zombie
Insomma, qui c’è da prendere in considerazione il bicchiere mezzo pieno, che i due film de La casa diretti da Rob Zombie fanno addirittura traboccare, se si vuole, e se si considera anche la collaborazione del regista al concept originario di Grindhouse con il godibile fake trailer Werewolf Women of the SS.
Quindi, senza discutere oltre sulle eventuali (oltraggiose, secondo qualcuno) cadute di stile effettuate con le due pellicole tratte dalla serie di Michael Myers, battiamo tutti insieme piedi e mani, come in un Sabbath propiziatorio, nell’attesa che The Lords of Salem dal Festival di Torino si propaghi anche alle sale cinematografiche italiane – tanto comunque bisognerà aspettare il 26 aprile 2013 per vederlo in quelle statunitensi.
Un horror descritto dal suo stesso autore come una versione di Shining girata da Ken Russell, elemento che non sfugge neanche agli spettatori più inesperti dopo la visione dell’ipnotico trailer (qui sotto), dove la bella Sheri Moon riveste il ruolo di protagonista, generando non poco scontento tra le fila degli horror-addicted, ma riuscendo ancora una volta ad ergersi a simbolo di quel fascino del Male e del Maligno così ben rappresentato (finora) da Zombie e dal suo team.
Attesa difficile, ma in buona compagnia è meglio ;)
– Fran
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Molto interessante per uno studioso di cinema! :) Complimenti…
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Ti ringrazio! Spero di esserti stata “utile” in qualche modo :D
– Fran
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Assolutamente sì! :)
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