ROMA7: Mai morire (Enrique Rivero, 2012)

Mai morire, mai vivere per sempre – di Fausto Vernazzani.

La VII edizione del Festival Internazionale del Film di Roma navigava nell’oscurità fino a quando Enrique Rivero non è giunto a salvarci con i suoi campi lunghissimi colorati ed illuminati da un sole lontano che spezza la noia per darci la gioia.

Nel concorso ufficiale, ormai lo avrete capito, c’è poco di cui andar felici, ed ora, per aiutare Fedorchenko a tener su il nome del Festival di Roma, Mai morire arriva a noi per elevare il valore della sezione principale di questa VII edizione. Dal Messico è raro che arrivi un tale lirismo, una storia appassionata e delicata come quella di Chayo, abitante del simil-precolombiana Xochilmico.

È il ritorno al nido di una donna di mezza età, nella casa d’una madre malata e prossima a compiere 100 anni. Chayo non vorrebbe mai morire, vorrebbe poter sempre essere con la sua famiglia, in eterno tra quelle lande interrotte da fiumi e ruscelli, terreni su cui sorgono piccole case povere. La decisione di celebrare la vita prolungata della madre arriva d’improvviso, più per se stessa che per l’anziana signora desiderosa, invece, di andarsene, al punto da mettere la sua vita in pericolo smettendo sia di mangiare che di bere.

Mai morire, perché mai fare una scelta simile? È un atto di paura, il non voler affrontare un cambiamento radicale, un passo come tanti altri – come dice la nonna – il cui potere è solo quello di interrompere la vita terrena per poi inaugurarne un’altra. Lontano da qui, se possibile.

La regia di Rivero è perfetta, lenta e delicata, per certi aspetti ‘noiosa’, ma tutto è volto all’espressione della lentezza e del nulla di quelle famiglie, in cui persino il tradimento del marito non rappresenta un fatto grave, anzi, quasi appare come qualcosa di cui aver pietà. Si sentono vicine e lontane allo stesso tempo, le persone che navigano da una parte all’altra della regione, la loro essenza è però quella d’una persona sola nel gran bisogno di vivere per davvero, senza il bisogno dell’immortalità.

Come un calmo ruscello si dispiega la vita di questi uomini e di queste donne (soprattutto), tra cui l’ottima Margarita Saldaña, favorita per la gara al Marc’Aurelio per la Miglior Interpretazione femminile. Mai morire è dunque da tener d’occhio, con quei campi lunghissimi indimenticabili che s’impossesseranno dei sogni, e non delle menti, di chiunque sarà in sala per vedere questo gioiellino.

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