Un detective è quello che ci manca.
Una volta l’Italia aveva i migliori cervelli del mondo che davano vita con zero budget a gialli pieni di idee, tensione, pathos e, soprattutto, veri dubbi.
Dal romanzo Macchie di belletto di Ludovico Dentice nel 1969 lo sceneggiatore Massimo D’Avak e il regista Romolo Guerrieri diedero vita al giallo Un detective, film che ha l’unico difetto di essere eccessivamente dialogico ma, in compenso, tutto il necessario per appassionare gli amanti del genere, a partire dagli attori fantastici fino alla trama ingarbugliatissima capace di tenere lo spettatore sulla corda fino alla fine.
Mettendo insieme i pezzi
Stefano Belli (Franco Nero) deve indagare su una casa discografica e incappa nel cadavere di Romanis (Marino Masè – non accreditato), amante di Sandy Bronson (Delia Boccardo) che è fidanzata con Mino Fontana (Maurizio Bonuglia) il figlio dell’avvocato Fontana (Adolfo Celi) e della seconda moglie Vera Fontana (Florinda Bolkan).
Stefano proverà a mettere insieme i pezzi per scoprire cosa c’è sotto, ma sa benissimo che Romanis non sarà l’unica vittima e che deve sbrigarsi.
Per chi non conoscesse Romolo Guerrieri, gli basti sapere che è stato uno dei migliori registi del genere in quell’epoca, un autore che con il film Il dolce corpo di Deborah (1968) diede inizio al filone chiamato “giallo erotico con eredità“, del quale anche Un detective fa parte.
Un gran guazzabuglio
Il detective Belli, interpretato in maniera granitica ma efficace da Franco Nero, non è il tipo di professionista che si può definire affabile. Belli non fa subito le domande, prima picchia i suoi sospettati e poi comincia l’interrogatorio. Per mettere subito in chiaro le cose, insomma.
Le sue indagini cercano di seguire un filo logico, ma questo viene spezzato immediatamente da una serie di continui colpi di scena che rendono la trama più interessante – pur se troppo intricata.
Nonostante il guazzabuglio di nomi, indizi, sospetti ed eventi, l’attenzione fa tutto fuorché calare. Da qui il mio sospetto della volontà di Guerrieri di confonderci appositamente per aumentare la curiosità e il desiderio di sciogliere tutti i nodi.
Fate attenzione, perché il finale non è affatto scontato o, per essere più precisi, non è girato come ci si aspetterebbe; una vera (e positiva) sorpresa che non voglio svelarvi.
La bella Italia
Questa è l’Italia cinematografica di genere che ci manca, l’Italia cinematografica che merita di essere visionata e anche ascoltata attraverso la magnificenza delle musiche di Fred Bongusto.
Perfetta pure la fotografia di Roberto Gerardi che propone interni ed esterni di una nitidezza spiazzante visto l’anno di lavorazione. E ripeto, zero budget. Che nostalgia!
Cari lettori, fate un pensiero su questo gioiellino made in Italy. Bisogna pubblicizzare il buon cinema e noi di CineFatti lavoriamo affinché ciò accada.
Roberto Manuel Palo
Romolo Guerrieri ha diretto alcuni polizieschi davvero formidabili:Un Uomo,Una città,ad esempio.Sopratutto La polizia è dalla parte dei cittadini?Fenomenale e malinconico con un grande Salerno.Guerrieri è un Girolami,mi pare sia zio di Enzo
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E’ vero, è vero. E’ stato uno dei grandi nomi del nostro cinema di genere in quegli anni insieme a Fulci, Bava e tanti altri maestri. Ripeto, che nostalgia!
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