La magia dei cucchiai nell’orrendo cult The Room di Tommy Wiseau.
So-bad-its-good. Per comprendere il potere del cinema questo tipo di film sono fondamentali, capire quanta volontà hanno alcuni filmmaker di andare oltre il fondo del barile, raschiare le schegge dalla sua base con i denti, farsi male il più possibile.
Ci sono film terrificanti che ti fanno sognare l’inferno, desiderare di essere inglobato da SpongeBob giganti che invadono New York in stile Ghostbusters, o che so, uccisi con un cucchiaio. The Room di Tommy Wiseau è uno di questi.
Johnny/Wiseau è un uomo sulla quarantina, lavora in banca, ha successo e una bellissima (a suo dire) fidanzata: Lisa/Juliette Danielle.
I due hanno continui rapporti sessuali accompagnati da musiche degne del miglior soft-porn amatoriale mentre si cospargono di petali di rosa e lui ridacchia in continuazione con un Ah Ah Ah che non lo abbandonerà mai per tutta la durata del film.
Questo idillio, però, è falso e tra un’incursione e l’altra del giovane Denny/Philip Haldiman, che non si sa bene chi sia né perché possa entrare in casa quando e come vuole, Lisa si scopre di non essere innamorata del suo futuro marito Johnny.
La tragica insorge. Lisa tradisce Johnny di fronte alla foto di un cucchiaio poggiata nel salotto di casa loro, probabilmente un parente vista l’espressività che li accomuna, con niente di meno che Mark/Greg Sestero, il miglior amico di Johnny.
Intanto si scopre che Denny ha dei problemi con uno spacciatore, ma non si sa come va a finire, c’è gente con tumore al seno, ma non ce ne importa, Johnny continua a ridacchiare con il suo Ah Ah Ah ma nessuno sembra esserne infastidito.
È un capolavoro inverso di sceneggiatura, scritta dallo stesso Wiseau che è appunto Regista, Autore, Attore e Produttore, evidente segno del fatto che nessuno voleva avere a che fare con questa storia che pare fosse inizialmente un libro di ben 500 pagine.
Cosa difficile da credere vista il continuo ripetersi di battute senza senso, Ah Ah Ah e vari grufolii del mitico Johnny, incomprensibilmente coperto da capelli la cui natura è indefinibile, non si sa se sia appena uscito da un meeting Apache.
Girato interamente in due stanze, una terrazza e pochi esterni, ha un titolo che non ha senso e una regia creata con chiara inesperienza, personaggi che parlano solo nell’istante in cui entrano nella ripresa, una fotografia degna del peggior porno della Croazia sud-occidentale e una musichetta snervante quasi quanto la risatina di Wiseau.
Sarà difficile trovare di peggio, neanche Plan 9 From Outer Space è paragonabile a un tale scempio, per lo meno lì c’era una storia che filava. Male, ma lo faceva. Al contrario qui il plot è privo di pathos e le storie secondarie sono lanciate lì come sassi.
Dovrebbe essere un must per tutti gli aspiranti registi, sia per capire cosa non fare mai, sia perché si può imparare che anche facendo qualcosa veramente male, e male è dir poco, si può comunque entrare nella storia, anche se non come ci si sarebbe immaginati. Però magari Tim Burton un giorno potrebbe fare un film anche su Wiseau.
Fausto Vernazzani
Voto: 0/5