di Nicola Palo.
Posta Celere, vincitore della Semaine della Critique a Cannes ’97, è il primo lungometraggio di Pål Sletaune, regista in concorso con Babycall al Festival Internazione del Film di Roma. Ambientato ad Oslo, narra la vicenda di Roy Amundsen, un postino che odia il suo lavoro, legge la posta che deve consegnare ed accumula la posta spazzatura in un buco dentro una galleria. Roy entrerà nella vita di Line, intrufolandosi in casa sua, fino a trovarsi coinvolto in un caso di rapina della quale Line è stata complice.
I due personaggi principali, Roy e Line – interpretati da un ottimo Robert Skærstad e da Andrine Sæther -, non lasciano mai trasparire una reale emozione: sono volti spenti e corpi dimessi, capaci però di assorbire dentro tutto il dolore e lo squallore che li circonda, riuscendo a sopravvivere alle situazioni nelle quali si trovano coinvolti. La loro capacità di sopravvivere è data dal dissolversi e dall’astrarsi: questa capacità nasce proprio dal fatto di non riuscire a comprendere fino in fondo la tragicità degli eventi che stanno vivendo o hanno vissuto. La macchina da presa mantiene da loro un voluto distacco, un distanziamento necessario per esaltare lo sguardo inespressivo che li caratterizza. Tutto ciò viene messo in risalto dal nomadismo di Roy, il quale pone il suo sguardo statico su ambienti che, invece, variano continuamente. Nonostante ci siano dei luoghi fissi – la galleria, la casa di Line -, Roy non riesce a rinchiudere lo spazio nel suo sguardo perché questo è in perpetuo movimento, pienamente espresso da una Oslo mai ferma.
Il postino è l’emblema di questa spersonalizzazione portata fino al limite estremo. Roy detesta il suo lavoro e fa di tutto per farlo male: non utilizza nessun mezzo di locomozione per velocizzarsi e legge la posta delle altre persone, soprattutto quando sembrano lettere d’amore. Il coma conseguente al pestaggio dei tre junkies rappresenta il punto di svolta nella vita del protagonista: come una sorta di rinascita che ha creato distacco dalla sua vita precedente, viene posto nuovamente in contatto fisico con il lavoro che odia. La scena della premiazione per il suo “coraggio” è diretta da Sletaune in maniera esemplare: Roy aveva “protetto” la borsa contenente la posta dal tentativo di rapina di tre barboni, con conseguente pestaggio, solo perché la cinghia si era incastrata. La telecamera, fissa e lontana dalla scena, lascia trasparire tutta lo squallore del momento, creando uno spazio, una distanza che mostra ogni minimo movimento del corpo di Roy, votato al disgusto per quello che lo circonda. Roy così continuerà nella sua opera di voyeurismo verso Line, intrufolandosi dentro casa sua, facendosi una copia delle chiavi di casa, salvandola dal tentato suicidio. Questo gli darà l’input per portare a termine la sua opera di spersonalizzazione: nel bar cambierà le sue generalità, si presenterà come Georg (il cattivo), ed utilizzerà la casa di Line come fosse la sua. Questo bisogno impellente di uscire fuori da se stessi trova il suo apice nello splendido finale: Roy non può smettere di seguire Line perché dentro di lei è contenuta la sua nuova identità.
Bisogna precisare che Posta Celere non è una vicenda sentimentale: non c’è spazio ad alcun gesto d’affetto tra i due protagonisti né, tanto meno, un tentativo di seduzione da parte di Roy. Questo distacco spicca attraverso la regia asciutta ma penetrante di Sletaune: la macchina da presa spersonalizza i corpi dal loro contesto con la ripresa costante dei volti dei protagonisti, finendo col separarli da tutto il resto. Non c’è contatto, solo sguardi fugaci, veloci, ma persi nel vuoto senza alcun tipo di complicità. Il distacco raggiunge il suo massimo livello nella scena finale, quando la telecamera riprende Roy e Line mentre si allontanano ed allontanandosi a sua volta. Ancora una volta non c’è contatto, ma uno spazio che sembra incolmabile. Tutto ciò è enfatizzato dai luoghi del film: Oslo è caratterizzata da strade ed interni fatiscenti, non accoglienti, sporchi, pieni di spazzatura e vomito, resi scuri e spettrali dall’ottima fotografia di Kjell Vassdal.
Purtroppo la fusione tra l’elemento tragico e quello comico non avviene sempre con naturalezza: l’elemento comico entra spesso con eccessiva irruenza nella tragica atmosfera ben creata dal regista. Ad esempio la scena del pestaggio di Georg, un classico della commedia degli equivoci, sembra davvero fuori luogo nel modo in cui viene presentata. Nonostante i limiti dati da questa eccessiva, irrisolta e talvolta gratuita confusione tra tragico e comico, Pål Sletaune, con questa sua opera prima, ha mostrato di possedere un riconoscibile stile cinematografico ed una propria sensibilità artistica.
eh,si gran bel film che vidi 14 anni fa. Grazie per avermelo ricordato,lo cercherò perchè mi piacque assai ai tempi.
Il cinema nordico mi affascina perchè raggela il melodramma,senza perdere in tragicità
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Purtroppo la cinematografia nordica per il pubblico si ferma a tre o quattro nomi famosi. È un’area da scoprire perché ha davvero un approccio diverso al cinema, con una propria e salda tradizione che si ritrova nei “nuovi” registi. Ad esempio interessante sarebbe un raffronto tra Kaurismäki e Sletaune, soprattutto nel modo di trattare il volto degli attori.
Nikolaj
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Kaurismaki è senza ombra di dubbio uno dei miei registi preferiti:la fiammiferaia,leningrad cowboys,vita da bohemien.Si,quei paesi sono da approfondire assolutamente
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