Noia scaccia noia nella dramedy di Thomas McCarthy.
The Station Agent è come uno scatolo in cui tirate tre dadi truccati: il risultato sarà sempre il massimo. Quei tre dadi corrispondono alla tripletta di protagonisti dell’esordio alla regia di Thomas McCarthy.
Non ha importanza come siano le facce dello scatolo, quei dadi si scontreranno e si incontreranno l’uno con l’altro creando un’armonia perfetta pur mantenendo la loro semplicità, oggetti senza un’importanza particolare, di grande bellezza o attrattiva.
Così sono il trio Finn, Joe e Olivia, esattamente così.
Gente comune, gente noiosa
Persone ‘regolari’ con sei lati uguali e senza originalità, di fronte a una solitudine contro cui reagiscono ognuno in modo diverso. Poco si sa del loro passato e solo strada facendo viene accennato il background di ciascuno, senza aggiungere gradini ad affaticare la sceneggiatura, niente fronzoli, basta la recitazione a raccontare.
Non cè molto da sapere su Finn (Peter Dinklage), amante sfegatato dei treni, la sua ricerca di solitudine dopo la perdita del migliore amico lo spinge lontano.
Joe (Bobby Cannavale) a causa di un padre che necessita di cure costanti, non riesce ad avere una vita vissuta appieno, così come la città in cui vive lo blocca.
Olivia (Patricia Clarkson) ha perso suo figlio da due anni, separata dal marito pur essendone ancora innamorata e si sfoga con la pittura con risultati mediocri.
L’incontro tra i tre non è casuale, ma graduale: è il contatto mentale ad avvicinarli più del fisico. Non è la consapevolezza di non essere soli a unirli, ma la possibilità di essere se stessi in serenità senza temere il fantasma della diversità.
McCarthy chiama premio
Con The Station Agent McCarthy iniziò una carriera da sceneggiatore e regista dal successo crescente, portandolo già due volte agli Academy Awards, con la nomination all’Oscar come al protagonista Richard Jenkins ne L’ospite inatteso e quella come miglior sceneggiatura insieme a Pete Docter e Bob Peterson per Up.
The Station Agent vinse invece al Sundance Film Festival nel 2003 guadagnandosi sia il premio del pubblico che il premio speciale della giuria alla Clarkson. La storia balza all’occhio e sussurra “premiami,” così come i dialoghi, brevi e traboccanti calde verità, risuonano nella testa per la grazia con cui si accostano all’orecchio.
La regia ovviamente non è da meno, a partire dall’attenzione alla direzione degli attori e caratterizzazione dei personaggi attraverso le immagini: astronauti paragonabili al cliché del pescatore rugoso, l’elemento sconvolgente e vivo del paesaggio, presenze indipendenti ben racchiuse all’interno di una cornice costruita su misura.
Dispiace vedere Dinklage privo dei giusti premi e le ancor più meritate ovazioni, di gran lunga superiore ai suoi colleghi, ottimi interpreti rimasti però un passo indietro rispetto all’elemento catalizzatore rappresentato dal “trenofilo.”
Tuttavia è bello sapere che questanno sia stato onorato con l’Emmy per la serie Il trono di spade. Un attore coi fiocchi che finora avevamo avuto modo di vedere solo in ruoli secondari come in Human Nature e Funeral Party (originale e remake).
Fausto Vernazzani
Voto: 4/5