Melancholia - CineFatti

Melancholia (Lars Von Trier, 2011)

L’apocalisse secondo Lars Von Trier, Melancholia.

Melancholia è l’ultimo film di Lars Von Trier. Sicuramente lo conoscete. È  quello che “io-sono-il-miglior-regista-del-mondo”. È quello che “io-provo-empatia-con-Hitler”.

Mister Simpatia, proprio.

Comunque, autore di quelli maiuscoli. Non mettiamoci a fare le passerelle, perché tanto i film suoi li conoscete.

Quest’ultimo, Melancholia appunto, è stato in concorso all’ultimo Cannes. Non ha vinto perché, come ricorderete, la Palma d’oro andò a Tree Of Life di Terrence Malick, e Von Trier, espulso dal festival proprio per le dichiarazioni “antisemite” in conferenza stampa, poté gioire solo per il riconoscimento a Kirsten Dunst, che offre qui la prova della sua carriera e, in più, fa anche risaltare l’enorme accuratezza con cui il regista danese sa dirigere i suoi attori: oltre alla Dunst sono eccezionali anche Kiefer Sutherland e la solita Charlotte Gainsbourg, che sempre grazie a Von Trier e al suo Antichrist due anni fa ricevette sulla croisette lo stesso premio. E ci sono anche Charlotte Rampling, John Hurt e Stellan Skarsgård!

Melancholia è un pianeta enorme che sta per entrare fatalmente in collisione con il pianeta Terra. Il suo percorso di avvicinamento è raccontato attraverso un dittico che ha per protagoniste due sorelle: Justine (la Dunst) e Claire (la Gainsbourg). Dopo il prologo al ralenti (Von Trier in questo è un maestro: lirismo estremo e stile rigoroso, che poi lascia spazio a un modo diverso di guardare, nel prosieguo del film), c’è il capitolo che riguarda Justine, che manda all’aria il suo matrimonio (appena finito di festeggiare in pompa magna proprio nell’immensa magione della coppia Gainsbourg/Sutherland) e le sue relazioni personali a causa dell’avvicinamento del pianeta, che lei percepisce e da cui è scombussolata fisicamente e e mentalmente. Claire, invece, nel capitolo che la riguarda, si prende cura della sorella, confortata dalle (positive) certezze scientifiche del marito.

Finale bellissimo e ineluttabile. Vetta cinematografica.

Melancholia è il rovescio della medaglia, rispetto a Tree Of Life: nel film di Malick c’è un male terreno che il mondo iperuranio esorcizza; nel film di Von Trier, nel futuro c’è solo l’Apocalisse, e il bene che siamo in grado di dare dobbiamo dispensarlo sulla Terra. Proprio come fa “zia indistruttibile”, ovvero Justine, che crea attorno al nipotino un rifugio tanto fragile quanto magico.

Piaccia o no, Von Trier col suo modo di filmare ha aggiunto qualche categoria semantica all’abc del linguaggio cinematografico. Questa telecamera sempre mobile, instabile, in cui combattono così strenuamente fuoco e fuori fuoco, con l’irrequietezza del suo zoom testimonia una straripante volontà dell’autore di “stare” in scena insieme agli attori: Von Trier vuole far percepire la sua presenza sul campo di battaglia, e la frequenza di apparenti “errori” come lo scavalcamento di campo fanno capire che, nella concezione di Von Trier, il punto di vista dello spettatore in sala non è più quello privilegiato, bensì la mdp sembra essere in soggettiva con un instancabile osservatore che si aggira tra i personaggi.

La visione DEVE essere scomoda. Proprio come lo stare al mondo.

Elio Di Pace

Voto: 5/5

2 pensieri su “Melancholia (Lars Von Trier, 2011)

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