Predators - CineFatti

Predators (Nimrod Antal, 2010)

Il risveglio dei Predators è un sequel di ottimo livello con un inusuale Adrien Brody protagonista

Premettiamo che Predators è un film che vale la pena vedere. Ricorda i tempi in cui gli sceneggiatori sapevano scrivere una storia con dei personaggi dotati di personalità e non solo quanti proiettili e quante granate dovevano esplodere.

Insieme ad AlienPredator è stata forse l’’unica altra saga fantascientifica ad avere un successo a livello di culto tale da arrivare sino ad oggi, e i due film si trovano finalmente a condividere qualcosa di più del dimenticabile Alien Vs. Predator e parenti.

Non perché in qualche modo compaia qualche forte citazione all’’interno di Predators a qualche xenomorfo assassino, piuttosto perché nello stile stesso vediamo l’ispirazione al grande modello di sequel, ovvero l’Aliens di James Cameron.

Non è infatti un caso che questo film si intitoli in forma plurale rispetto al primo del 1987. L’’importanza del personaggio, riuscire a essere vicino a loro e sentire in qualche modo il respiro, questo lega i due franchise, un concetto totalmente estraneo dall’empatia per l’’eroe, peraltro inesistente in Predators, poiché a esser protagonisti sono i più grandi bastardi della razza umana: mercenari, soldati russi e statunitensi, yakuza, condannati a morte e così via. Di sicuro non il tipo di persone per cui si fa il tifo.

La trama è tendenzialmente la stessa del predecessore, un gruppo di soldati e uomini d’arme è braccato da un alieno biologicamente e tecnologicamente superiore, con la differenza che questa volta la caccia assume esplicitamente il valore di gioco per gli alieni che in gruppi di 3 ogni stagione rapiscono una manciata di guerrieri da secoli e secoli per poter poi divertirsi a sterminarli uno ad uno.

Un plot convenzionale con personaggi non convenzionali che in un’’altra occasione si sarebbero uccisi a vicenda senza esitare, cosa che effettivamente accade all’’inizio di Predators, in cui precipitiamo letteralmente senza lubrificante.

 

Asfuggire le consuetudini è anche la scelta degli attori, o più che altro dovremmo dire, del suo protagonista: Adrien Brody. Di sicuro non lo definiremmo adatto a ruoli d’azione, ma la sua bravura spezza ogni pregiudizio.

Le esperienze passate come con King Kong non possono decisamente paragonarsi a questa dove ha dovuto darsi allenarsi in palestra per guadagnare una dose di muscoli grande abbastanza da compensare l’’eccesso di cartilagine sul suo volto.

Ad affiancarlo ci sono una serie di volti conosciuti quali Topher Grace e Alice Braga . Il primo è nella parte dell’’uomo normale, un medico, quello che dovrebbe farci capire come ci sentiremmo noi spettatori se vivessimo in prima persona l’’esperienza di essere braccati come volpi; la seconda invece rappresenta la quota rosa del film, perché una donna cazzuta ci vuole sempre in questo genere di film.

Una piccola parte va anche a Laurence Fishburne, in un breve ruolo che non gli vale un premio, non esageriamo, ma una gran stretta di mano per il lavoro ben fatto di sicuro se la meriterebbe.

Finita la carrellata sugli attori potremmo perdere un minuto a parlare del regista di cui non ho ancora fatto nome, Nimród Antal, ma se non l’’ho fatto è perché effettivamente non gli si possono attribuire grandi meriti oltre ad aver fatto bene il suo mestiere dandoci alcune scene interessanti, ma che più che altro son merito dei paesaggi e della sceneggiatura. Un particolare di questo film è anche la sua produzione, avvenuta a cura della Troublemaker, proprietà di Robert Rodriguez, trovatosi a fornire i propri mezzi e i propri studios per la prima volta a un film non scritto e diretto da lui, ma che ha lasciato come firma il suo attore feticcio, primo membro certo del cast quando il film era ancora in pre-produzione: Danny Trejo.

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