L'amico del cuore - CineFatti

L’amico palliativo del cuore

Sincere storie d’amicizia per raccontare la dolcezza accanto alla morte

Leggere storie simili alla mia secondo alcuni potrebbe essere un crudele atto di masochismo, ai miei occhi è invece il bisogno di sentirmi rappresentato. Credevo fosse questa la ragione, invece no: la finzione aiuta a definire i contorni della realtà, impedisce di connotare coi tratti dell’incredibile vicende troppo dure da mandare giù fino in fondo. Uscire da un lutto ed entrare direttamente in una pandemia e nel lockdown conseguente, non è stata e ancora oggi non è la più facile delle imprese. Tutto sommato mi ritengo molto soddisfatto dei passi fatti, non dico avanti perché indietro tanto il tempo non ci va.

Avrei dovuto scrivere allerta post personale, ma se conoscete il plot della recente aggiunta in catalogo Prime Video, allora saprete quanto è difficile scindere la propria esperienza da quanto scorre sullo schermo del vostro laptop/televisore. Però oltre questo incipit non desidero affatto parlare di me, L’amico del cuore è un discreto film sull’amicizia in tempi difficili, merita dunque di essere osservato anche come opera a sé stante, evitando di macchiarla troppo coi propri ricordi.

Don Siegel

Gabriela Cowperthwaite dirige la sceneggiatura di Brad Ingelsby, adattamento del racconto autobiografico del giornalista Matthew Teague, rimasto vedovo dopo aver accompagnato sua moglie per diversi anni lungo il percorso di una terapia contro un cancro terminale. Il libro The Friend: Love Is Not a Big Enough Word non l’ho letto, quanto posso comprendere dalla sua trasposizione è che Teague ha avuto il gran cuore di scrivere la storia osservando il grande contributo offerto dal suo migliore amico, rimasto al fianco della coppia ogni minuto, dando ogni opportunità possibile di reggere ai duri colpi del cancro.

A interpretare Teague è un Affleck minore, Dakota Johnson è la moglie, Jason Siegel è il protagonista assoluto, L’amico del cuore del titolo italiano. Volendo essere severi Our Friend non è eccezionale, Cowperthwaite la conosco solo per il documentario Blackfish – successo spaventoso, sia economico che di azioni riflesse – ed è sicuro che non sorprende, oppure sono stato talmente folgorato io da Siegel da ignorare qualsiasi altra cosa. Persino col doppiaggio a cui Prime Video costringe il pubblico italiano, resiste un’interpretazione delicata e perfettamente in linea col ruolo a cui l’interprete è abituato.

Siegel lo abbiamo adorato per anni nella sit-com che-tutti-conosciamo-ed-ha-anche-un-po’-stancato, ma è anche un discreto attore drammatico. In fin dei conti nella sua imbranataggine sullo schermo lo è sempre stato, ha scritto sul volto il passo goffo, ed è forse il gran vantaggio che ha sulla concorrenza: ogni qualvolta esce fuori dall’impressione che dà allo spettatore, è un colpo al cuore, esce fuori dal personaggio-Siegel ed entra nell’interpretazione del momento. Cala il pubblico nei panni del gesto, delle emozioni e delle sensazioni a cui dovremmo affidarci in tal episodio del film. Vale doppio in Our Friend.

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Jason Siegel con la giovane Isabella Rice

Un effetto duraturo

È chiaro che raccontando il processo che porterà una persona alla morte, il pubblico sarà portato alla lacrima facile. Gabriela Cowperthwaite cerca di evitarlo ad ogni costo – sia tu benedetta – ed esprime a voce attraverso diversi personaggi quanto è passato nella testa di molte persone che hanno vissuto certi episodi, ma è comunque inevitabile il pianto. Siegel spezza quando può il circolo vizioso della lacrima aromatizzata al cancro dando voce allo sfiancamento, alla schiena raddrizzata attraverso ogni artificio, alla spinta ad esser vicino a chi vuoi bene. Riuscire a reggere questa parte un film intero, non è da poco.

Il confronto inevitabile è con un altro film relativamente contemporaneo, 50/50 di Jonathan Levine – regista verso cui nutro molta simpatia – in cui tutta la forza dell’interpretazione di Siegel è condensata in una singola scena dove scopriamo gli sforzi dell’amico di turno, Seth Rogen. Levine sfruttò l’elemento sorpresa, volle prendere alla sprovvista il pubblico mostrando una carta nascosta, Cowperthwaite invece nasconde proprio lo stupore e inverte l’importanza degli elementi narrativi: la schiena dritta è protagonista per l’intero film e il suo riconoscimento è il delicato fiore consegnato in segno di ammirazione.

Ecco perché forse dovrei ricredermi sul valore della regia di Gabriela Cowperthwaite. Forse avrei dovuto dare altro tempo ad Our Friend di crescermi dentro, sentir riaffiorare alcune scene invece di altre e notare sempre più quali possano essere ulteriori pregi e difetti, ma avevo voglia di parlare di un film che raccontasse l’amicizia. È un valore in cui credo e c’è bisogno di film che la rappresentino scordandosi gli stereotipi comuni. Per quanto nessuno potrà mai battere la morte di Spock ne L’ira di Khan. E se vi ho fatto spoiler, scusate, sono passati quasi 60 anni e credo di poterlo fare, no? Comunque, Our Friend, buono.

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Jason Siegel con Dakota Johnson

3 pensieri su “L’amico palliativo del cuore

  1. Mi fa piacere quando trattano tematiche del genere in questo modo, senza cercare la lacrima facile. Purtroppo quando si parla di film simili tendo a essere un pò scettico perché molte volte ho notato come utilizzavano la malattia per commuovere il pubblico, in una maniera semplificata e quasi subdola a volte. Quindi sono contento di quello che hai scritto sul film in questione e cercherò di recuperarlo.

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    1. Sì, è la verità. In questo film specifico, la malattia è in secondo piano, la concentrazione è soprattutto sulle persone attorno, sia familiari che non. Quella parte della vita di una malattia, devo dire, l’ho vista rappresentata davvero bene e con molto rispetto.

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