Ritratto di Egon Schiele.
Seducente e accattivante, un film ben riuscito che omaggia l’arte della pittura e le possibilità espressive del cinema: Dieter Berner ci regala uno schizzo chiaro, deciso e pungentemente colorato dell’artista viennese Egon Schiele.
Gocce di guerra su Vienna
1918. I contraccolpi della prima guerra mondiale si respirano ancora nell’aria, quando Gerti Schiele (Maresi Riegner), sorella dell’artista famoso per scabrosità e genialità Egon (Noah Saavedra), entra affannando presso l’Atelier del fratello. La febbre e la malattia da qualche settimana consumano Egon e sua moglie, che morirà di lì a poco.
Sono necessarie delle cure e una casa più calda per tentare di salvare il talento controverso, amato e odiato per questo, di Egon Schiele. Uno sguardo distratto a un acquerello di gioventù e la sorella Gerti ci porta indietro nel tempo, per scoprire chi c’è dietro quelle gocce di sudore e il viso smorto.
Rebel with(out) a cause
Provocatorio, genio maledetto, artista da scandalo. Queste le etichette con cui si è sintetizzata la storia e la personalità di Egon Schiele, attributi generici e usurati che rischiano di targetizzare troppo un artista oltreché un essere umano.
Forse è anche per questo che il volto dai tratti delicati di Noah Saavedra quasi stride con quelli più duri che ci hanno lasciato le fotografie e gli autoritratti di Schiele. In fondo anche per i geni vale la regola: ogni genio è genio a modo suo.
Il primo obiettivo di Berner è proprio quello di non volerci raccontare tanto gli scandali, le perversioni o le avventure scapestrate, presentate piuttosto come esperienze e peculiarità del personaggio funzionali a comporne il ritratto, mai gratuiti o destinati a un puro piacere estetico e narrativo.
Ciò che muove la narrazione e il fil rouge dei capitoli/flashback del biopic è proprio la necessità, l’urgenza di scavare nelle profondità, tornare alle forme e alle bozze dell’opera finale per scoprire cosa e chi vi sia dietro. E soprattutto e ancora, quanto quell’opera ci dice del suo tempo non solo nella sua connotazione storica ma sul piano dell’esperienza dei sensi.
L’ombra di Klimt
Nella Vienna del primo novecento erano pochi quelli che davvero sapevano intendersi d’arte, a parte gli artisti. Klimt, per quanto nel film appaia poco – e giustamente perché nella vita di Schiele agisce con efficacia sempre dietro le quinte – è un elemento chiave: è lui che incentiva il giovane Egon ad abbandonare l’Accademia per cercare un suo stile, a “proteggerlo” da chi lo accusa di produrre pornografia e non arte.
Ed è lui a presentargli la modella Wally (Valerie Pachner) la donna che sarà musa ispiratrice, amante, complice, amica e collega, rendendo ancora più fertile il talento e il potenziale di Schiele. Un grande amore mancato, sacrificato sempre per un altro tipo di amore, eterno ed insostituibile: L’Arte.
La sensualità come linguaggio del sé
Il corpo nelle sue forme ed espressioni è l’elemento d’indagine che muove la ricerca di Egon Schiele. Le sue pitture nascono dal caso: basta un gesto, una posa, uno sguardo in un qualsiasi momento della giornata perché Egon fermi tutto per disegnare e creare nuove bozze.
Grazie all’enfatizzazione di questo aspetto quasi ossessivo/compulsivo il film genera un ritmo personale, scongiurando qualsiasi caduta nella noia, nell’attesa o nella tipica stasi da pellicola in costume.
Notevole è la scelta di un’accurata fotografia che si muove dai colori caldi ai freddi richiamando direttamente i lavori dell’artista e si accompagna a una scenografia essenziale e insieme attenta ai dettagli.
Avete tempo fino al 29 novembre 2017 per lasciarvi ancora sedurre da Egon Schiele al cinema… e ricevere un segnalibro che vi riporterà malinconicamente indietro nel tempo a quel sapore un po’ romantico che aveva entrare al cinema quando si era bambini e si aspettava di ricevere un gadget omaggio da collezione.
Valentina Esposito
Voto: 5/5
Un pensiero su “Sedotti e catturati da Egon Schiele”