La doppia vita di Veronica, ragazza allo specchio – di Elvira Del Guercio.
Veronika e Véronique (interpretate da Irene Jacob) nascono rispettivamente in Polonia e in Francia: esattamente identiche nell’animo e nel corpo, entrambe dotate di una voce sublime, sentono nella loro vita un vuoto incolmabile, un tormento che le scopriva sole al mondo.
È dal V secolo a.C. che in letteratura e, dai primi anni del Novecento, con Hitchcock, nel cinema si parla di un tema che oggi risulta quasi un cliché, il cosiddetto “Doppelgänger “. In La doppia vita di Veronica, dopo una malformazione dello spazio-tempo è possibile che una persona/personaggio si trovi contemporaneamente in due luoghi, fisici o mentali che siano: potremmo distinguere, a questo punto, quale sia il reale in sé e quale la sua fantomatica proiezione? Sarebbe davvero possibile, tuttavia, stabilire razionalmente un confine tra i due e dire con certezza quale dei due ha creato l’altro?
Nel caso de La doppia vita di Veronica di Krzysztof Kie?lowski, non si può non constatare l’intrinseca armonia che nasce da questi doppi che si completano e che culmina nel fulmineo e fuggevole incontro tra queste due donne.
Veronika e Véronique, rispettivamente simboli irrazionalità e razionalità, si trovano in una Cracovia che pullula di anime, in un amore all’ultimo sguardo che viene catturato dalla macchina fotografica di Véronique, giunta in Polonia per un viaggio. E come nello stesso vortice dovuto alla medesima destabilizzante metamorfosi del reale in La donna che visse due volte di Hitchcock, si risveglia un’altra Veronika: un personaggio più “umanizzato”, con insicurezze e paure.
Il potere dello sguardo
Kieslowski utilizza il mezzo fotografico come ulteriore strumento di conoscenza del reale, con un espediente narrativo che molto deve all’ingegnosità di Michelangelo Antonioni, e mi riferisco a quel fotogramma nel fotogramma in cui il fotografo di Blow-Up ha visto palesarsi un’autentica verità nell’indefinito caleidoscopio di significati.
Véronique, infatti, guardando dopo moltissimo tempo quella sbiadita e opaca fotografia di Veronika scattata a Cracovia si guarda per la prima volta allo specchio, capendo il perché della sua atavica solitudine.
Con La doppia vita di Veronica, Kie?lowski insegna a far sempre caso agli sguardi, da quelli più insignificanti perché non notati a quelli che permettono che nasca un amore che varchi gli opprimenti confini degli spazi che dividono, come quello tra Véronique e lo scrittore Alexander: attraverso una serie di messaggi e suoni criptici Alexander ha creato e poi unito ciò che la realtà empirica separa.
È, dunque, l’esercizio dello sguardo ciò sui il regista si sofferma, mostrando come sia sufficiente una piccola casualità a far cambiare un certo punto di vista sul mondo: emblematica è, infatti, la scena in cui Veronika guarda oltre il finestrino del treno non con i suoi occhi, bensì con lo “sguardo” di una pallina di cristallo, qualcosa di completamente altro da sé che, non a caso, capovolge metaforicamente il paesaggio circostante e, dunque, il nostro abituale modo di osservare.
Questa sequenza trova echi nell’esperienza di osservatore di Palomar che guarda la città prima da terrestre e poi dal punto di vista di un volatile giungendo a dire, infine, quanto sia inesauribile la superficie delle cose.