Ave, Cesare! - CineFatti

Ave, Cesare! (Joel & Ethan Coen)

Il talento infinito dei Coen trova conferma in Ave, Cesare! la loro nuova Odissea.

Meglio ragionare a freddo quando si esce dalla sala con in tasca un nuovo film d’un regista del calibro dei fratelli JoelEthan Coen, soprattutto quando in qualche modo viola gli schemi cui ci hanno abituato. Ave, Cesare! non è un Coen convenzionale.

È frammentato, autoreferenziale, con grandi ambizioni e una singola minuscola destinazione. Se dovessio scegliere la chiave di lettura offertaci dal duo su un piatto d’argento, definiremmo Ave, Cesare! una parabola del cinema.

Eddie Mannix, risolve problemi

Nella trama sono sempre i soliti: Eddie Mannix, il Mr. Wolf tarantiniano della MGM tra i ’20 e i ’60 nella realtà, non ha un risveglio brusco perché non conosce riposo; la veglia costante è interrotta dalle sue calcolate confessioni in chiesa ogni 24 ore circa.

Il suo lavoro alla Capitol Pictures, lo studio fittizio immaginato dai Coen, consiste nel gestire e tenere a bada le grandi stelle come un pastore farebbe con un gregge di sole pecore nere.

Ci sono Baird/George Clooney con le sue scappatelle, l’alcol e un segretaccio da mantenere, DeAnna/Scarlet Johansson coi suoi mille matrimoni e un figlio in grembo, Hobie/Alden Ehrenreich destinato ad abbandonare il western per il dramma d’autore.

Non sono però gli unici animali del circo cinematografico al tramonto della sua epoca d’oro, gli anni Cinquanta, la vigilia dell’avvento della Televisione.

I Coen allo specchio

Ave, Cesare! non è uno sguardo nostalgico, non è una celebrazione né un viaggio nel tempo fine a se stesso. Piuttosto è una riflessione dei Coen sul proprio mestiere, sul lavoro e sul ruolo dell’artista (A proposito di Davis a suo modo già intraprese questa strada) e sull’etichetta che lo rappresenta: regista, attore, sceneggiatore, montatore, produttore e tutto ciò che li circonda. Un universo intero, unito allo scopo di servire la fede.

LA fede

Il cinema, osservato e assecondato con grottesca venerazione dal basso (le finte risate alla proiezione dello scadente western Luna Lazzarona) ricorda la grazia negli occhi di chi osserva la croce sul monte Golgota. Come il personaggio di Baird nel biblico Ave, Cesare!, un futuro kolossal come Ben-Hur di William Wyler, a cui non manca la devozione, la fame di gloria, il talento, ma la fede in tutto ciò che fa e rappresenta. La vive, la accetta senza sprecare pensieri.

Schermaglie ideologiche

E la critica si estende all’ideologia politica dell’epoca, agli Hollywood Ten trasformati in una “setta” di folli sceneggiatori che rapiscono Baird per fare proseliti e con lo sguardo perso nel vuoto sbraitano di dialettica. Tanta carne al fuoco collegata al mestiere di Mannix, Josh Brolin al massimo della sua forma (lo vorremmo agli Oscar 2017), un nuovo Ulisse ingegnoso in viaggio da un capannone all’altro come tante isole in un mare infinito, anche lui con un enorme peso sulle spalle.

Nel nome del Cinema

Lo spettatore necessita di tempo per ritrovare le coordinate in Ave, Cesare!. Al contrario degli altri Coen dove tutto a suo modo scorreva normalmente, tante sono le comparsate stellari – utili a ricordare a cosa stiamo assistendo –  con i loro sketch scollegati a livello narrativo, ma non ideologicamente: bisogna stare attenti e capire cosa il pubblico deve seguire, anziché affidarsi al classico schema hollywoodiano.

Proprio in questa luce – a proposito, Roger Deakins colpisce ancora -, si può raggiungere il senso del film: Ave, Cesare! parla de Il figlio di Dio e Dio, dello Spirito Santo e Il figlio di Dio: uno e trino, così il cinema è Cinema e il mondo che lo segue è entrambi. Sono i Coen, la semplicità non è la loro arma preferita e quest’ultimo loro film ne è la prova definitiva: Ave, Cesare!, lo abbiamo detto, è il meno convenzionale della loro filmografia.

Fausto Vernazzani


Voto: 4/5

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