Snoopy & Friends

Snoopy & Friends (Steve Martino, 2015)

di Francesca Paciulli.

Non ti sentirai mai più così al sicuro come quando, da bambino,
ti addormentavi sui sedili posteriori dell’auto di mamma e papà.

Credo di essermi imbattuta in questo folgorante aforisma di Charles M. Schulz più o meno a tredici anni. Non ricordo neppure se a pronunciare la frase fosse il papà dei Peanuts o la sua creatura Charlie Brown.

Una cosa è certa: non c’è niente di più vero. Una punta di tenerezza e malinconia che ho ritrovato intatte in Snoopy & Friends animato e diretto da Steve Martino (Ortone e il Mondo dei Chi) su “commissione” di Craig e Bryan Schulz, rispettivamente figlio e nipote di Charles.

Oltre sessanta anni dopo le indimenticabili strisce a fumetti e i lungometraggi animati di fine anni Sessanta di Bill Melendez, i piccoli protagonisti tornano in 3D per farsi conoscere – e amare? – dalle nuove generazioni. E chissà come ci rimarrebbero se potessero sentire i commenti di alcuni bambini in sala (ma come sono disegnati “male”!), abituati alla sfrontatezza della computer graphic e troppo “pigri” per apprezzare appieno la dolcezza del tratto a mano che si fonde con la tecnologia.

Poi fortunatamente la magia si compie e i personaggi ci avvolgono in un abbraccio caldo come la copertina di Linus e anche i più piccoli vengono assorbiti dalla delicatezza di Charlie Brown e dalla sua cotta per la “ragazzina dai capelli rossi”. Ed ecco la prima notizia: questa volta il suo volto non è un mistero (Charles non l’ha mai mostrata) e oltre che ascoltarla, possiamo vedere il suo viso pieno di lentiggini. Sono gli adulti che non vediamo mai: genitori, insegnanti. Sentiamo solo il suono – simile a un trombone – della loro voce.

Il resto è un meraviglioso viaggio a dimensione di bambino, e nella nostalgia, con personaggi che prendono forma e vita, mantenendo intatte le caratteristiche che ce li hanno fatti amare: dalla saccente e petulante Lucy (con tanto di banchetto per le sue consulenze psichiatriche) alla maschiaccia e supersportiva Patty Piperita; dal riservato Schroeder con la sua ossessione per la musica e il pianoforte, a Pig-Pen con la sua nuvoletta di sporcizia; dal tenero e incompreso Charlie Brown (una imperfezione in cui possiamo e vogliamo tutti riconoscerci) alla sua sorellina Sally. E poi naturalmente c’è il brachetto aspirante scrittore Snoopy con la sua ossessione per il Barone rosso e i suoi voli spericolati sulla cuccia rossa.

Sono proprio Charlie e Snoopy i due protagonisti  del film, il Ricky Cunningham e il Fonzie della situazione: il primo timido e impacciato, il secondo dinamico e risoluto, sempre pronto a motivarlo (deliziosa la sequenza in cui Snoopy insegna a Charlie i segreti del ballo).

Certo il ritmo non sempre è all’altezza degli standard a cui ci hanno abituato gli altri film prodotti dai Blue Sky Studios e i (numerosi) momenti onirici vissuti da Snoopy con il fidato Woodstock sono piuttosto slegati dal resto del film, ma la grazia un po’ naif con cui personaggi emergono dai fumetti è dirompente. E Charlie Brown e il suo senso di inferiorità, la sua testardaggine (vedi l’albero mangia aquiloni) e la sua dolcezza sono un richiamo troppo forte per il nostro cuoricino. Sarebbe perfetto per un Glee Club, ne diventerebbe la star. Lucy e il suo leggendario scherzo del pallone da football permettendo. Che nel film (come nelle strisce) torna come citazione colta. I bambini nel buio della sala sorrideranno. I più grandicelli di più. E con un pizzico di nostalgia si appoggeranno allo schienale della poltrona, magari tornando con il pensiero all’auto di mamma e papà.

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