American Horror Story Hotel

American Horror Story: Hotel (a due stelle)

di Francesca Fichera.

Un ritorno alle origini. Fra le mura di una grande casa, che un po’ è di tutti  e un po’ è soltanto di qualcuno. Con una serie di efferatissimi omicidi da risolvere. E una coppia in crisi. Ma farà davvero bene American Horror Story a rigiocarsi la carta di Murder House?

Secondo noi no, ed è presto detto il motivo.

Il guru Ryan Murphy, writer e director, ci fa accomodare nell’Hotel diretto dalla Contessa (Lady Gaga) senza particolari soprese, con una inquadratura dall’alto che intrappola velocemente le prime due vittime della quinta stagione. Pochissimo tempo e già facciamo la conoscenza di Iris (una sempre valida Kathy Bates), la burbera receptionist dell’albergo. “Niente rimborsi, niente wi-fi”, dice, esprimendo uno di quei classici cliché che farebbero fuggire chiunque a gambe levate; e invece no, perché siamo nel fantastico mondo dell’horror, dove l’ingenuità e le menti bacate sono di casa. E così, dopo aver atteso il primo, telefonatissimo jump scare ai danni delle povere malcapitate (straniere, giusto per aggiungere un altro luogo comune) ed essersi sorbiti i soliti, affascinanti ed inquietanti titoli di testa, fa il suo ingresso un nuovo personaggio e la sua storyline.

Il detective John Lowe (Wes Bentley, che dal piccolo ruolo di Freakshow è approdato a una parte decisamente più importante) sta seguendo le tracce di un assassino seriale particolarmente sadico, amante delle citazioni di Reazione a catena di Mario Bava (grazie a Fausto per l’assist, nda) e delle torture in stile Bolton/Lannister di Game of Thrones. Dopo l’ennesimo crimine, il killer entra in contatto telefonico con lui e gli dice di trovarsi nella camera 64 della struttura dove poco prima avevamo lasciato le due turiste bionde. Anche Lowe dunque incontra presto Iris, e si fa guidare da Liz Taylor, la drag queen di Denis ‘O Hare (l’attore più sottovalutato dell’intera serie), attraverso i corridoi sporchi e scuri dell’hotel, dove si aggira anche Sarah Paulson nei panni di uno spettro dallo smalto nero e lo sguardo triste.

A questo punto appare chiaro che tutta la quinta stagione di American Horror Story verterà sulla spiegazione del legame fra la storia di Lowe e quella dell’albergo – e cioè, indirettamente, della Contessa, vampiresca e glam come solo Lady Gaga avrebbe saputo e potuto essere. E tutto intorno, naturalmente, le citazioni: dal già menzionato Mario Bava a Stanley Kubrick – o meglio alla moquette della sua versione dell’Overlook Hotel, che s’intravede in una delle prime scene – passando per Stephen King, fra Shining e 1408, fino alla musica, Eagles in testa (vedi playlist sotto), vera e propria mania di Murphy e compagni.

Ma in sostanza cosa c’è?

Una cura maniacale per i costumi (Yen DoLindsey Kear) e per gli altri elementi fisici della messinscena; l’estrema professionalità degli interpreti, nel cui gioco s’inserisce con discrezione, e superando di poco le basse aspettative, anche la pop-star Gaga; lo stile, inconfondibile, di un prodotto per la tv che, fra altissimi e bassissimi, è stato in grado di conservare il suo carattere di unicità.

E tuttavia, accanto ai pro esistono dei grossi contro per via dei quali la prima puntata di American Horror Story: Hotel, dal titolo Checking In, non fa presagire buone cose. La sottile ma palpabile sensazione di tenere tanta, troppa roba fra le mani, e soprattutto di averne già sentito l’odore e il sapore, si affianca a un uso della violenza talmente estremo (il “mostro bianco” fa davvero impressione) da riuscire a valicare i confini del genere e convincere del fatto che a Murphy e Falchuck sia rimasta soltanto la carta dello stupore; qualcosa di cui la stagione Coven ci aveva fornito a suo tempo un’anticipazione, che si sarebbe rivelata del tutto fallimentare se non fosse stato per le salvifiche presenze di Stevie Nicks e, naturalmente, Jessica Lange, carisma allo stato puro di cui sentiamo tutti la mancanza.

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