Zach Braff torna con una regia ad alta gradazione hipster.
Ci sono un milione di motivi per volere bene a Zach Braff, non solo le ben otto stagioni di Scrubs, la sit-com perfetta, e non provate a dire il contrario. Primo tra tutti c’è il suo rapporto col pubblico, aperto, desideroso di abbracciare ogni singolo fan con la stessa passione con cui J.D. sognava di esser stretto tra le braccia del Dr. Cox, un sentimento ricambiato a tal punto da riempire la campagna di crowdfunding per il suo secondo film da regista: Wish I Was Here, una sottospecie di sequel a La mia vita a Garden State, entrambi con note autobiografiche (per così dire).
“Sequel” perché bene o male il protagonista, sempre interpretato da Braff stesso, è scritto basandosi sulla sua personalità, qualcosa che conosce bene tanto lui quanto il cosceneggiatore e fratello Adam J. Braff. La storia vuole il nostro eroe Aidan Bloom alle prese con un momento difficile della sua vita: il suo sogno di diventare un attore ha difficoltà ad avverarsi, tutta la famiglia si sostiene sui soli incassi di sua moglie (Kate Hudson) e proprio ora il padre Gabe annuncia di avere un cancro e che la terapia, costosissima, richiederà l’aiuto dell’unico figlio con cui ha un rapporto.
È anche questo un film sulle responsabilità: prendersi carico dei propri doveri di figlio trovando un modo per sopportare il padre rabbino in punto di morte, il dovere di fratello e far sì che il più giovane e scomparso Josh Gad ritorni al nido per restituire un sorriso a Gabe, il dovere di marito, il dovere di un padre che cerca di essere per i suoi figli ciò che il proprio non ha potuto essere. Un primo passo è tornare ai sogni di bambino, alla sensazione di unicità che si prova da ragazzi, alla voglia sfrenata di salvare il mondo.
Guardando Wish I Was Here vi crescerà lentamente la barba, occhiali in acetato spunteranno fuori dalle vostre orbite e la pelle produrrà una camicia a quadroni da falegnami trasformandovi in hipster di prima categoria. Braff bene o male lo è ed è il sogno di ogni hipster una commedia con tutti i propri attori preferiti (Donald Faison, Mandy Patinkin, Jim Parsons anche loro nel cast) e una colonna sonora composta da band e solisti barbuti – Radical Face, Bon Iver – che finiranno dritti dritti nelle playlist di chi non li conosceva o faranno scorrere lacrime sulle guance di chi ha l’orecchio abituato.
L’ultimo dei due è quanto cerca Braff: un ulteriore contatto con il pubblico, sempre più stretto. L’attore/regista ha diretto grazie ai soldi dei fan e a loro a restituito quanto cercavano, quella platea che da lui si aspetta un determinato sound, viaggi mentali e qualche frase d’impatto per darci di che riflettere e scrivere sulle nostre moleskine o in sovrimpressione sulle fotografie scattate al tramonto. E sapete cosa? Col pubblico funziona, sdolcinato, ma Braff ha talento sia in scrittura che in regia e riesce a rendersi simpatico con la sua ricerca per la verità perché recita la parte della persona normale.
Non ha una vita spettacolare Aidan Bloom, non vivrà il suo sogno fino in fondo, crollerà sempre con tutte le difficoltà della vita, ma le affronterà con un sorriso. Come non relazionarsi a un personaggio simile, contrario a tanti altri della scena hollywoodiana, la stessa che voleva impedirgli di assumere nel cast quei volti familiari presi da Scrubs e altre serie tanto amate come, appunto, The Big Bang Theory, il cui multimilionario Jim Parsons apparì in Garden State prima ancora che la fama lo investisse con assegni a più zeri di quanti l’occhio riesca a contare.
Wish I Was Here è un film estivo: mette di buon umore, scaccia il caldo e il cattivo umore. Fateci un pensiero.
Fausto Vernazzani
Voto: 3/5