di Fausto Vernazzani.
Un inquietante film nello spazio, quella terra dove nessuno può sentirti urlare. Lo diceva la tagline di uno dei grandi capolavori della fantascienza, quel geniale Alien di Ridley Scott, una miscela ben dosata di horror ed esplorazione spaziale. Uscire nelle sale nel 1979 con un film dallambientazione simile, anche se mai così distante nel suo aspetto esteriore, non è la più grande delle fortune: il confronto diventa inevitabile, come sempre capita quando messi di fronte ad una svolta. Il povero malcapitato sintitola The Black Hole.
Anthony Perkins è il Dr. Alex Durant, a capo di una missione di esplorazione dello spazio profondo nella USS Palomino insieme al Capitano Dan Holland, Robert Forster, al Luogotenente Charlie Pizer, Joseph Bottoms, la Dottoressa Kate McCrae, Yvette Mimieux, e il giornalista Harry Booth del perfetto Ernest Borgnine. A pochi minuti dall’inizio del film, il nostro team di scienziati scopre la USS Cygnus ancorata nel mezzo dello spazio, un vessillo creduto distrutto oltre ventanni prima, fin troppo vicino ad un enorme buco nero.
La loro astronave, il Palomino, attratto dalla gravità della stella collassata, scopre che la Cygnus ha un campo gravitazionale autonomo che permette al mezzo di rimanere fermo ad osservare un fenomeno ancora sconosciuto alluomo. Ad osservare il potere del grande mistero del cosmo è il Dr. Hans Reinhardt, un solitario e dispotico Maximilian Schell, unico sopravvissuto dell’intero equipaggio del Cygnus, abitato solo da robot.
Lopera diretta da Gary Nelson non spicca per genialità: inizia in medias res, il Palomino scopre il Cygnus, una mole di informazioni coglie lo spettatore di sorpresa con la forza di uno tsunami, troppo viene detto in una manciata di minuti. Non cè tempo per conoscere i nostri protagonisti: lattore è il personaggio. Perkins, rigido scienziato di buon cuore, è sin da subito affascinato dallidea di Reinhardt di esplorare il mondo dei buchi neri, ma ben presto la follia del capitano del Cygnus metterà a rischio la sua vita e quelle dell’equipaggio del Palomino.
Un film che nel 1979 prova ad instillare nello spettatore la curiosità scientifica, quasi mistica come dimostrerà un finale forse troppo religioso da poter esser accettabile in rispetto alla continuità della pellicola intera, ha un vantaggio dalla sua pur prendendo a piene mani da un padre evidente sin dai primi momenti: Star Trek. In novanta minuti si crea un interesse maggior per il protagonista al di là delle vetrate del Cygnus, quel buco nero disegnato che insieme al resto della lunga lista di campi totali rappresenta il meglio del reparto visivo di The Black Hole, con immagini suggestive che sanno colpire lo sguardo.
Il fascino distante dello spazio siderale tiene su The Black Hole, una colla con una scadenza limitata che permette di non soffermarsi sui numerosi difetti del film, come ad esempio il design troppo infantile del droide V.I.N.CENT. che cozza con forza contro alcune scene abbastanza drammatiche e violente per essere un film della Disney. Non si vede sangue, ma il cinema contemporaneo ci ha offerto su un piatto dargento un immaginario splatter capace di riempire i buchi visivi. Nel complesso The Black Hole è una pellicola passabile, ma di cui è impossibile dimenticare la magnifica colonna sonora composta da John Barry che da sola vale il film intero. Provare per credere.
Un pensiero su “The Black Hole (Gary Nelson, 1979)”