Top Ten 2013: La fantascienza dell'anno

di Fausto Vernazzani.

Una Top Ten 2013 per i film più belli di fantascienza. Una frase che in molti negherebbero all’istante, armandosi di forconi e tizzoni ardenti per acchiappare il mostro odierno e gridare alla morte di un genere mai deceduto. Eppure anche quest’anno, alla nostra seconda edizione di questa lista (dopo il 2012), ci si trova a dover affrontare delle scelte tra un numero per nulla limitato di film di fantascienza. Un anno in cui, come sempre, anche i blockbuster sanno dire la loro, per quanto il trio più conosciuto costituito da After Earth, Oblivion ed Elysium non merita probabilmente di essere ricordato molto a lungo, nonostante uno sfoggi eccellenti scenografie, l’altro effetti visivi e una fotografia grandiosa ed il terzo qualche idea carina.

A “vincere” (anche e soprattutto per gusti personali) sono quelli che hanno saputo giocare e gli altri con il coraggio di raccontare qualcosa che potesse essere vero, un futuro ora presente di cui aver paura o da guardare con diffidenza. Prima che l’anno iniziasse ci si figurava titoli come Facciamola finita e Gravity già in cima a questa lista, ma il genere è una brutta bestia e quindi queste e svariate altre opere (Odd Thomas, Questione di tempo, etc.) hanno ceduto al fantasy o al puro e semplice drammatico. Al di là della qualità di ogni singolo. In ogni caso questa è la lista dei dieci film di fantascienza più belli del 2013, alcuni dei quali sono stati prodotti nel 2012 ma disponibili solo l’anno successivo, e ben pochi hanno mancato la visione per ragioni di tempo e spazio – motivo per cui rientreranno forse nella lista 2014 – ed essendo pochi val la pena citare i maggiori: Hard to be a God, Platinum Data, Dark Skies, Snowpiercer e The Philosophers. Ma eccoci qui: vi auguro una buona visione.

10. In the Flesh. Come nel 2012 anche quest’anno al numero 10 una mini-serie piuttosto che un film. Creata da Dominic Mitchell per la BBC, In the flesh è una serie in tre episodi (che avrà una seconda stagione nel 2014) a tema zombie, ma come il tempo ha decretato, la definizione è ora mutata cedendo il passo agli “infetti”. In una Gran Bretagna decimata dal PDS (Partially Deceased Syndrome) si ritorna alla normalità in seguito alla scoperta di una cura che riporta in vita gli zombie, destinati ad essere discriminati e a vivere con un corpo incapace di rispondere ai bisogni naturali. Ambientato in una lontana provincia inglese, la mini-serie è un fantastico ritorno alla critica sociale che mette l’accento sulle distinzioni razziali, etniche e, nel caso, di orientamento sessuale. Un must, nonché uno dei momenti migliori della televisione dell’anno scorso.

9. The Hunger Games: Catching Fire. “Haters gonna hate” recita il detto del web, e uno young adult molti lo criticano a prescindere, nonostante le colpe siano da attribuire all’ormai antenato Twilight, a sua volta nato da Harry Potter, saga con più alti che bassi. Lo stesso si può dire di The Hunger Games, da molti giudicata una serie superiore ai romanzi scritti da Suzanne Collins. In questo primo sequel diretto da Francis Lawrence, Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) scopre di aver instillato il seme della rivoluzione tra i distretti della nazione protagonista di un futuro distopico alla 1984, trovandosi costretta ancora una volta a partecipare agli Hunger Games, una sorta di Battle Royale all’americana. Qualche momento pacchiano, qualche attore non proprio degno di questo nome, ma la sostanza è ottima e il prodotto finito risponde alla domanda: divertimento, emozioni e una gran dose di azione e spettacolarità.

8. Il gioco di Ender. Altra saga letteraria, nata dalla penna del celebre scrittore Orson Scott Card, che però non vedrà alcun sequel nel futuro prossimo a causa di un flop al botteghino spaventoso. La storia è semplice: in un futuro prossimo l’umanità verrà attaccata dai Formics, una razza aliena bellicosa a pochi passi dal riuscire a sterminare l’umanità, salvatasi solo grazie al coraggio e all’intelligenza di un grande comandante. Sulle orme di quest’ultimo, gli esseri umani costruiscono un nuovo sistema che prevede di coltivare le giovani menti alla guerra, così da trovare il leader e stratega che li salverà da un secondo attacco. Harrison Ford, Ben Kingsley e Viola Davis sono insieme ad Asa Butterfield (Hugo Cabret) e una serie di cliché raccontati frettolosamente che nulla tolgono alla potenza sia visiva che narrativa del film di Gavin Hood. Da recuperare e guardare principalmente per la storia, efficace, ma che purtroppo tornerà ad avere un seguito solo sugli scaffali delle librerie.

7. How I Live Now. Ancora young adult, un genere molto di moda che non accenna a morire (l’anno prossimo sarà il turno di Divergent), a volte affrontato con uno spirito del tutto diverso. Kevin Macdonald ci riporta in Gran Bretagna allo scoppio della Terza Guerra Mondiale, dove l’Isola non è riuscita più a sfuggire al pericolo di un’invasione. Sul tragico sfondo bellico, il personaggio scritto da Meg Rosoff, Daisy fa di tutto per ritrovare il suo lontano cugino di cui è innamorata, portato via dai militari per costringerlo ad unirsi alle forze armate. Non sarà ricordato in eterno, ma la pacatezza e il coraggio di mostrare immagini anche abbastanza forti, fanno di How I Live Now un film meritevole di attenzione, anche grazie ad una sapiente regia orientata verso i singoli personaggi a sfavore di scenari catastrofici che avrebbero attirato le masse, ma tolto sapore all’opera.

6. Errors of the Human Body. Eron Sheean ebbe il suo film distribuito nel circuito festivaliero nel 2012, ma per riuscire a vederlo si è dovuto aspettare il 2013, e l’attesa è valsa la pena. Protagonista Michael Eklund, stella del genere nel 2012 se unito all’ottimo horror apocalittico The Divide dove divideva la scena con un inquietante Milo Ventimiglia, Errors racconta le vicende di un genetista scottato dalla morte di suo figlio a causa di una terribile mutazione; invitato a svolgere le sue ricerche in un laboratorio di Dresda, dove le sue ansie incontrano le scoperte di alcuni suoi colleghi, non sempre le mani giuste per le loro stesse idee. Tempo presente, luoghi una serie di laboratori perfettamente realistici, più un dramma incentrato sull’incapacità di comunicare – come più volte Sheean ha sottolineato -, ma gli elementi brevi di fantascienza costituiscono un sottofondo straordinario per i risvolti psicologici, dando loro modo di manifestarsi fisicamente. Un peccato che il film non abbia avuto la giusta attenzione internazionale.

5. La fine del mondo. Fantascienza vintage per il geniale regista Edgar Wright qui alla conclusione della sua immensa trilogia del cornetto (algida) con una parodia dei topoi del genere che navigavano tra romanzi grandi e piccoli degli anni Cinquanta. In molti Urania dei primi anni possiamo riscontrare la gran parte dei temi di The World’s End, distribuito in Italia in maniera criminale, pochissime sale per un’opera perfetta con un cast a dir poco stellare tra cui figuravano Simon Pegg, Nick Frost, Paddy Considine, Eddie Marsan, Martin Freeman, Rosamund Pike, Michael Smiley e Pierce Brosnan. Una comitiva di amici guidata da Gary King (Pegg) torna nel proprio paese natale per completare il giro dei pub che anni fa rimase incompiuto, ma nella loro cittadina qualcosa è cambiato e l’intero destino dell’umanità è ora nelle loro mani. Ripeto: geniale.

4. Vanishing Waves. È il destino dei film non-Statunitensi: usciranno sempre in ritardo, disponibili secoli dopo. Come Errors of the Human Body, anche Vanishing Waves è un titolo del 2012, ottimo tra l’altro. In Lituania un esperimento cerca di scoprire le possibilità di interconnessione cerebrale tra un soggetto cosciente ed uno incosciente, dimostrando la possibilità di potersi unire in mondi creati da due menti unite, dove lo scienziato protagonista resta come incantato dalla bellezza della persona con cui sta comunicando. La lituana Kristina Buozyte confeziona un’opera comprensibile ed intelligente, giocando con la fantasia e sforzandosi di dare al nuovo mondo un look inquietante ed affascinante allo stesso tempo, toccando punte di grottesco e sensualità in costante conflitto le une con le altre, coinvolgendo lo spettatore in un delirio a cui è impossibile resistere.

3. Pacific Rim. Per certi versi lo considero il mio film preferito dell’anno. Guillermo Del Toro non delude e se lui dice che si è divertito a girare un film (praticamente sempre) allora è sicuro che sarà lo stesso per noi, tornati bambini a giocare con mostri giganteschi in lotta contro dei robot magnificenti guidati da piccoli piloti. Regia impeccabile, sceneggiatura pulita e limata, ornata da una combinazione perfetta di stereotipi incastrati  in modo tale da non creare fastidio, ma da sviluppare una crescente simpatia per ogni singolo protagonista, dal pilota reietto di Charlie Hunnam alla esitante Rinko Kikuchi, per passare dallo scienziato entusiasta Charlie Day all’integerrimo Maresciallo Idris Elba. Una lotta per l’umanità dove per una volta la scienza non è nemica, dove l’uomo non è nemico, ma tutto si concentra contro un pericolo che ha del lovecraftiano, in un pantagruelico omaggio a Ishiro Honda e Ray Harryhausen.

2. Her. Gran parte della fantascienza di oggi appartiene al campo del futuribile (non necessariamente verificabile) e non al futuristico, dove abitano le opere basate su possibilità reali, tangibili. Preferiscono proiettarsi nel lontano futuro, dove le regole possono cambiare, ed è raro trovarsi di fronte a  opere come il candidato all’Oscar per il Miglior Film Her, di Spike Jonze. Un futuro prossimo dove le tecnologie raggiungono un livello superiore, tuttavia non modificando drasticamente le sorti e le vite dell’umanità, sempre più distaccata e devota al nuovo Dio, la delega, dove appare inattesa l’invenzione dell’OS1, il primo sistema operativo intelligente. Joaquin Phoenix, protagonista, ne acquista uno per colmare la sua solitudine, per poi innamorarsi di una macchina più autonoma di quanto esse stesse si aspettavano. Una storia d’amore romantica, tragica, un ritratto della solitudine umana a cui siamo in parte condannati dal desiderio stessa di annullarla a tutti i costi. Un capolavoro che si aggiunge alla piccola ma eccezionale filmografia di uno dei migliori autori statunitensi contemporanei.

1. Upstream Color. Ho ancora un gran mal di testa. Chi ha visto Primer sa di cosa parlo, Shane Carruth è come un Terrence Malick che ha fin troppo da dire, con un talento innato per l’essenziale e la sua trasmissione allo spettatore. Capire il tema di Upstream Color è facile, seguirne gli sviluppi è tutta un’altra storia: è chiaro come qualcuno, un “ladro” con la testa composta dalla stessa materia del Sole, abbia scoperto una sostanza col dono di unire le menti, di permettere di comunicare come attraverso l’aria e le percezioni, unire gli elementi, un gioco di assonanze voluto, vi assicuro. Natura, uomo, oggetto sono un tutt’uno. Ci si trova così di fronte a quello che appare essere il miglior film made in USA del 2013, dimenticato da tutti o forse incompreso da tutti (una visione non basta, forse neanche due), ma vi assicuro che l’impressione è quella di essere spettatori in un teatro dove una stupenda poesia recitata ci trasmette un calore a cui è difficile credere.

La conclusione è questa, e in molti preferiranno sostituire un titolo con un altro, magari favorendo il super-sangue di Khan da Star Trek: Into Darkness o i cyborg dell’anime giapponese RE: Cyborg 009 o, chissà, sognando i mondi alieni de L’uomo d’acciaio o Thor: The Dark World e le armi futuribili (sì) di Machete Kills, un futuro candidato a queste liste se il suo sequel si avvererà, ma queste sono le mie scelte. Due sono gli inviti finali: il primo, è di dire la vostra, come sempre (eventuali insulti compresi), la seconda è di dedicarvi a True Love di Enrico Clerico Nasino, un film di fantascienza italiano senza forse i numeri sufficienti per competere con i titoli descritti nella lista, ma sicuramente riuscito e fondamentale per costruirsi la speranza di vedere un giorno un film di genere italiano meritevole di manifestarsi ovunque.

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