In Still Walking vive tutta la maestria di Kore’eda.
Se ne dicono tante su Hirokazu Kore’eda, per molti il miglior regista giapponese della nuova generazione, se di nuova si può parlare visti i suoi oltre quindici anni di attività, e sono tutte voci giuste.
La verità è che Kore’eda non può non essere considerato attualmente uno dei migliori in Giappone, al pari di Takeshi Kitano e di chi in passato seppe raccontare la vita quotidiana, autori il cui nome è inutile ripetere ossessivamente.
Tra i tanti capolavori di Kore’eda, presto in concorso al Festival de Cannes con Father and Son, vi è un certo Still Walking.
Questi fantasmi
A dodici anni dalla morte di Junpei, Ryo e la sua nuova moglie, col figlio Atsushi nato da un precedente matrimonio di lei, si recano verso la casa dei nonni Yokoyama per celebrare l’anniversario e portare nuovi fiori sulla tomba.
Gli Yokoyama vivono nel rimorso, la madre Toshiko sogna un mondo in cui Junpei non muore per salvare un bambino che neanche conosceva, Toshio, Kyohei, il patriarca e medico in pensione, considera ancora il suo primogenito il suo erede.
In un’atmosfera pesante la famiglia si mantiene unita sforzandosi allo stremo, la tensione la si taglia con un coltello. Ryo sente di non provare più lo stesso affetto che aveva per i genitori quando era bambino, quando sognava di essere come il padre.
Generazioni di dolore
Mi incuriosisce il titolo del suo prossimo film, Father and Son, lo stesso Still Walking poteva fregiarsi di un titolo simile: tre generazioni rappresentate da silenzi e porte (anche metaforiche) chiuse al mondo esterno.
Kyohei incolpa la famiglia della morte del figlio, Ryo incolpa il padre per averlo privato di un sogno un tempo suo, Atsushi desidera seguire le orme dei defunti, sia dello scomparso Junpei che del suo stesso padre da lui mai incontrato.
Sono sogni che durano la breve vita di una farfalla dalle ali gialle, il simbolo dei morti che si aggira nelle sale illuminate e sovraesposte da Yutaka Yamasaki. Hirokazu Kore’eda chiude questi individui qualsiasi traendo ciò che li rende speciali dal loro dolore, un male che li spinge a procrastinare ogni loro azione.
One of these days…
“Uno di questi giorni” è la sentenza più comunemente pronunciata da tutti i personaggi, abitanti di strade vuote, circondati dai fantasmi, capaci di sorridere solo se davanti hanno il passato, trasformando la bellezza nella vita di una persona così poco rappresentata dalla verità e dalla realtà che ci si chiede se sia mai esistita.
In questa spettralità è palpabile l’astrazione di Tsai Ming-liang e del suo Che ora è laggiù?, ma Kore’eda non abbandona il suo Still Walking a sensazioni, cose e persone “resuscitate” come fa invece il regista taiwanese.
Kore’eda affida la sua storia a un ottimo cast, tra cui eccelle Hiroshi Abe nei panni di Ryo, capace di dare il meglio di sé in ogni scena condivisa col più anziano Yoshio Arada: entrambi persi su una spiaggia a parlare di mondi futuri, cercando inutilmente di preservare l’integrità e l’innocenza di Shohei Tanaka (Atsushi).
Still Walking è un’opera pittorica, dipinge alla perfezione la fame di vita degli Yokoyama, le cui figure camminano ancora in uno spazio dai confini imprecisi, segnato da pennellate forti che assomigliano a lingue di fuoco.
Un capolavoro di quelli indimenticabili, da tenere stretti al petto per mantenersi ancora in piedi e godersi la bellezza di un cinema più vivo che mai come quello di Hirokazu Kore’eda, uno dei migliori giapponesi del nostro tempo.
Fausto Vernazzani
Voto: 5/5