Upside Down (Juan Diego Solanas, 2012)

Upside Down e le annullate aspettative su Juan Solanas – di Fausto Vernazzani.

No, non c’erano grandi aspettative per il secondo lungometraggio di Juan Diego Solanas, regista argentino fattosi amare con la sua produzione francese de L’homme sans tête, il cortometraggio d’esordio, al limite tra fantascienza e fantasy. Tornato allo stesso genere dopo un’incursione nel thriller con il suo primo film Nordeste, Solanas dirige l’atteso Upside Down, pellicola la cui preferenza è dimenticare la scienza per darsi al “fanta” prima di ogni altra cosa. La storia è la solita, un amore impossibile, simil-Romeo e Giulietta (la scena in cui lui la guarda dal basso della montagna è una chiara citazione della balconata), ambientata in un sistema di pianeti binario, ognuno con la sua gravità a cui obbedire, ma diversi per classe sociale. Chi è sopra vive nello sfarzo sfruttando il pianeta di sotto, dove la gente è sommersa dalle piogge di petrolio dei “superiori” soffrendo tra le rovine della loro civiltà.

Protagonista è Adam/Jim Sturgess, ragazzo avventuroso la cui famiglia fu uccisa dalla polizia della TransWorld, l’unica costruzione che unisce i due pianeti allo scopo di ottenere petrolio economico dal basso in cambio di elettricità a prezzi esorbitanti. Lui vive di sotto, ma scala montagne altissime senza soffrire troppo il freddo, montagne che quasi vengono a contatto col pianeta di Eden/Kirsten Dunst, ragazza spensierata che sin da bambina si innamora di lui. Un incidente tuttavia li separa, costringendo Adam a vivere nella speranza di incontrarla ancora una volta, nonostante le leggi proibiscano il contatto tra i due popoli. Che dire, niente di nuovo sotto il sole, anche quando a venir battuto dalla luce sono mondi completamente nuovi, le cui leggi gravitazionali non hanno alcun senso.

Dispiace leggere Solanas dichiarare nelle interviste che la fantascienza negli anni si sia persa dietro agli effetti anziché alle storie, affermazione vera solo al 50%, arrivata dal pulpito sbagliato: anche sceneggiatore di Upside Down, Solanas racconta la solita storiella facendo però largo uso di effetti speciali, CGI e una dose di color correction non indifferente. Lì arriva la sua più grande colpa, quella di avere gettato nel cestino il meglio del suo lavoro, gli effetti: spettacolare la fotografia di Pierre Gill, ma soprattutto i set e le scenografie di Alex McDowell, la scoperta dell’acqua calda se teniamo conto del suo curriculum, in cui rientrano Watchmen, Fight ClubMinority Report e presto Man of Steel. Tutto è nell’occhio e per l’occhio in Upside Down, dalle scenografie del locale Dos Mundos al relitto del dirigibile, un sapore steampunk, dettaglio stilistico necessario a convincere lo spettatore a tapparsi le orecchie in favore dello sguardo.

Non c’è bisogno di stare a sentire i dialoghi, di dar retta agli scontati Kirsten Dunst e Jim Sturgess, le cui interpretazioni rientrano perfettamente nel classico personaggio a cui sono ormai legati i loro volti (la depressa e il ribelle), tutto è chiaro già nel nome dei due, Adam ed Eden, il duo pronto a cambiare il mondo e sconvolgere le regole della fisica perché l’amore lo richiede. Chiacchiere vuote. Vuote come la regia di Solanas, abbastanza dimenticabile come tutto ciò che lui ha toccato, un peccato se teniamo conto delle sue idee in fatto di ambientazione, una predisposizione da sfruttare diversamente, forse lontano dalla macchina da presa, come collaboratore in sceneggiatura e assistente di McDowell, il vero Maestro da applaudire, l’unico motivo per cui Upside Down andrebbe guardato.

2 pensieri su “Upside Down (Juan Diego Solanas, 2012)

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