di Fausto Vernazzani.
Se cè un evento raro su questo mondo, è vedere Takashi Miike partecipare al Festival Internazionale del Film di Roma, un luogo dove si aggirano donne ben vestite che girano la testa non appena qualcuno tira un pugno nel più violento dei film italiani (esistono?). Eppure lui è qui, per la gioia dei suoi fan italiani, a consegnarci il suo nuovo ancora per poche mesi film: Lesson of the Evil, titolo internazionale per litaliano Il canone del male, lanciato tanto per dare futili speranze distributrici agli spettatori italici.
Tratto da un romanzo best-seller di Yusuke Kishi, Aku no Ky?ten è la storia di una psicotico insegnante, Hasumin (Hideaki Ito), belluomo, sicuro di sé e dal volto amichevole sempre pronto ad aiutare i suoi alunni in difficoltà. Violenze sessuali, bullismo, offese alle spalle: il mondo della scuola di Hasumin è una strada sterrata dove si precipita in buche su buche, ma sapendo come sfruttarle si può guadagnare velocità. Un professore dal passato misterioso, al cui passaggio le studentesse arrossiscono e che i ragazzi ammirano, una facciata per gli uomini e le donne sullo schermo, ma non per lo spettatore, onnisciente.
Miike è carta conosciuta, un regista il cui stile è ormai riconoscibile a miglia e miglia di distanza: inquadrature centrali in primo piano dei protagonisti, costruzioni sceniche impressionanti e sangue che scorre copioso sullo schermo tanto quanto sui vestiti. E noto anche che vari film suoi si suddividono nella classica partizione tensione/azione, un duo che funziona il più delle volte, soprattutto con il perfetto 13 Assassini, ma un po meno con opere quali Crows Zero 2 e questultimo Il canone del male, le cui scariche volte a far crescere la suspense son troppo rade e dal voltaggio così calibrato che troppo abitua lo spettatore al futuro prossimo filmico.
Passa così il tempo con lottimo Ito ed un paio di felici presenze la cui fama è cresciuta grazie al collega di Miike, Sion Sono, ovvero Shota Sametani (vincitore della Coppa Volpi con Himizu) e Mitsuro Fukikoshi, rispettivamente nel ruolo duno studente e dun caratteristico insegnante. Agli attori un forte applauso, per Miike un po meno caloroso, ma comunque dovuto grazie ad un finale spettacolare ed alcune scene dantologia, tra cui lutilizzo perfetto del pezzo cantato da Bertold Brecht, Mack the Knife, già colonna sonora ufficiale del Festival di Roma.
In poche parole uno dei lavori più modesti di Miike, ma anche nella mediocrità il regista giapponese riesce a stupire, a colpire e ad impressionare con il suo uso distruttivo e allo stesso tempo creativo di una violenza che non ha nulla dellhorror né del thriller. Sorprende invece una presenza religiosa, didee che richiamano alla religione di Asgaard e ai due corvi di Odino, pensiero e memoria, uno ucciso, il secondo sopravvissuto ed onnipresente nella vita di Hasumin/Ito, convinto di tener sotto controllo i ricordi dun passato cruento e dallaspetto macabro come le creature del Cronenberg dei tempi de La Mosca.
Divertimento assicurato, emozione tanta, mai cè da dubitare del resto di Takashi Miike, e chissà cosa cè da aspettarsi dopo quel finale così aperto, una domanda che gli spettatori giapponesi non si porranno grazie alla loro conoscenza del romanzo di Kishi, sicuro portatore della risposta che lintera audience del festival romano desidera a tutti i costi. Intanto non resta che girare per i corridoi della nostra mente fischiettando il motivetto di Fitzgerald.
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