di Fausto Vernazzani.
Il mondo per Kotoko non è uno solo, ma uno spazio in cui due diversi piani scivolano fianco a fianco imponendo ai suoi occhi di vedere due facce della stessa persona. Vedere doppio non è materia dubriachezza o dalcol, Kotoko vede di ogni persona il suo secondo, spesso tuttaltro che amichevole, ma è impossibile distinguere il vero dal falso: difendersi da chi lattacca la costringe a cambiare quartiere di volta in volta, per il bene di se stessa e di suo figlio Daijiro. La vita è insopportabile, circondata dal chiasso generato dalla sua mente e dai pianti del bambino, ma il suo corpo continua a sanguinare ogni volta che lo viola con una lama, urlandogli Vivi!. Cantare è lunica cura ai Doppi, il mondo diventa così uno solo, ma è quello giusto?
Il vincitore della sezione Orizzonti di Venezia, sezione a cui spesso ha partecipato il regista cult Shinya Tsukamoto, sembra essere uscito da un romanzo di Stephen King per essere contaminato con la follia della cantante e musicista techno-pop Cocco o anche Kotoko. La collaborazione tra i due si palesa nellimmediato come una delle più fruttuose della storia del cinema contemporaneo, una fusione dintenti e di idee che coincidono e si schiantano luna contro laltra in un processo chimico che ha dello straordinario: la voce di lei esprime il surreale, la sua storia di follia ed autolesionismo sogna il reale e la regia di lui cinsegna il caos e la perfezione del cinema puro.
Ispirato anche in parte alla vita della stessa cantante, Kotoko è in parte biopic, il più coraggioso ed angosciante mai scritto per il Cinema, diretto con una maestria che ricorda i tempi della meraviglia punk Tetsuo, maturata in una consapevolezza ed un potere espressivo che si riassume nella scena dapertura e di chiusura, gemelle di pura bellezza cinematografica. Una danza di fronte al mare ed una danza nel mare che linvade, la protagonista Kotoko, visitata dal distaccarsi dun mondo rispetto allaltro, non è più nel potere di distinguere il mare dalla terra, il male dal bene ed il tempo che fu dal presente.
Tutto è cancellato dal terrore di un pericolo costante, insediato dentro la propria follia o nella sopportazione dello scrittore Tanaka (lo stesso Tsukamoto), valvola di sfogo per la rabbia e la pazzia di chi sarebbe disposto a tutto pur di evitare sofferenza e miseria al proprio figlio/compagno. La paura di una guerra, secondo il regista, la paura di un assalto da parte del nemico sotto la pelle di chi crediamo sia nostro vicino e compagno davventura e sventura, il vivere costante in uninquietudine trasmessa per filo e per segno allo (s)fortunato spettatore, immerso in un trauma immaginifico che è come laffogare nellacqua per un pesce che ha paura del suo stesso elemento.
Kotoko si iscrive per diritto nel registro dei grandi capolavori del cinema giapponese, con la sua sapiente e crudele visione, e delle grandi coppie attore/regista, la quale in questo caso va oltre il semplice scambio tra dietro e davanti la macchina da presa, ma si mescola in un impasto che sgretola il muro di separazione: verità e realtà nascono da un processo che inizia con una macchina da presa tremante spinta a riprendere qualcosa che è già stato ed allo stesso tempo non è mai stato. Unesperienza unica e personale.