di Nicola Palo.
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Cronache di poveri amanti è un film del 1954 diretto da Carlo Lizzani. La vicenda parte nella primavera del 1925, a Firenze: Mario (Gabriele Tinti), giovane tipografo, per amore di Bianca (Eva Vanicek) si trasferisce in via del Corno, immergendosi nel microcosmo racchiuso in quella strada. Conosce Maciste il maniscalco (Adolfo Consolini, ex campione di lancio del disco, scelto per il suo fisico imponente), ed il suo amico Ugo (Marcello Mastroianni), venditore ambulante di frutta e verdura, entrambi antifascisti; il ragionere Carlino Bencini (Bruno Berellini) ed il suo amico Osvaldo, entrambi fascisti convinti; il proprietario della pizzicheria Alfredo con sua moglie Milena. Il naturale equilibrio tra gli abitanti della via verrà interrotto con il pestaggio fascista subito da Alfredo che si era rifiutato di dare il suo contributo alla sezione locale del Partito Fascista, pestaggio che lo condurrà alla morte.
Tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini, la produzione di questo film ebbe una storia travagliata: sceneggiato dal grande Sergio Amidei (probabilmente il più grande sceneggiatore del Neorealismo italiano), fu affidato in origine a Luchino Visconti, che si vide costretto ad abbandonare il progetto per mancanza di fondi. Amidei donò i diritti a Lizzani che, nonostante la mancanza di fondi, riuscì a terminare il film.
Lizzani, già noto come sceneggiatore (Riso Amaro) ed aiuto-regista (Germania Anno Zero, Il Mulino del Po), inizia la sua carriera di regista con vari documentari, per poi dirigere il suo primo film, Achtung! Banditi!, nel 1951. Nonostante qualche piccola ingenuità, sia nella trama che nella regia, nel suo primo film si intravedono le caratteristiche che poi saranno pienamente sviluppate nel suo terzo, Cronache di poveri amanti. Lizzani, in questo film, abbraccia in toto i dettami stilistici del Neorealismo: la sceneggiatura, contestualizzata, narra di storie locali, che potrebbero essere successe ovunque ed a chiunque. La regia tende, però, a creare una realtà da decifrare, non semplicemente descritta. È una realtà in cui i personaggi si muovono a fatica, composta essenzialmente da incontri frammentari, spezzati, effimeri, nella quale i personaggi fluttuano nei lunghi piano-sequenza. La regia è, senza dubbio, fortemente descrittiva, ma l’innovazione del Neorealismo sta nell’aver fatto diventare il personaggio del film una sorta di spettatore: le vicende nelle quali si trovano i personaggi superano sotto ogni aspetto le loro capacità, il loro spettro di azioni cala bruscamente e si limitano a registrare quello che accade. Vengono meno le sensazioni motorie, sostituite da sensazioni ottiche e sonore. Mirabile esempio è la scena della fuga notturna di Mario e Milena, durante la quale qualsiasi loro azione è sovrastata dall’incalzante incedere degli eventi, dei quali si ritrovano spettatori impotenti.
Punto di forza di questo film è, comunque, il modo in cui è costruita la quotidianità di via del Corno ed il suo collasso: l’impianto corale che fa da sfondo alla trama principale è ricco e ben rappresentato, tanto da rendere veri e credibili più o meno tutti i personaggi. Il calzolaio, l’usuraia e la sua servetta, la prostituta ed il suo ammonito, sono tutti personaggi ben caratterizzati che danno freschezza e vitalità allo svolgimento del film, essendo parte attiva dello sviluppo dei personaggi principali. Mario, Milena, Ugo, compiono un percorso che li porterà a crescere ed a maturare, ma anche l’insieme della strada maturerà con loro, passando dalle piccole beghe e questioni quotidiane al sentimento di ribellione (spesso soffocato) e di libertà che i tristi episodi del fascismo risveglieranno in loro. Le cronache di poveri amanti si trasformano nella cronistoria degli eventi che si rincorreranno l’un l’altro durante il film ed anche oltre – come lascia chiaramente intendere il finale. La crescita, esponenziale e vorticosa, travolge gli abitanti di via del Corno che si ritrovano, loro malgrado, a condividere la loro quotidianità con la storia.
Da sottolineare, infine, la grande prova di Marcello Mastroianni, alle prese con un personaggio dalla forte caratterizzazione toscana, e la fotografia del grande Gianni Di Venanzo che, con il suo bianco e nero, ci restituisce una Firenze incantenvole e veramente suggestiva.
Cronache di poveri amanti è, senza dubbio, il capolavoro di Carlo Lizzani, un gioiello spesso dimenticato, anche a causa dell’ostracismo dell’allora governo democristiano che ne ostacolò la premiazione al Festival di Cannes.
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