La Svezia mai vista in The Square.
Partire da un paese come la Svezia, presentato di bocca in bocca come l’eccellenza, e dissacrarlo con la giusta dose di ironia, senza troppe provocazioni e verità assolute: riesce a farlo il regista svedese Ruben Östlund in The Square.
The Square, il santuario degli stessi diritti e doveri.
Christian (Claes Bang) è il curatore di un prestigioso museo di arte contemporanea. Crede fermamente nel valore e nella possibilità dell’arte di smuovere coscienze, e in particolare gli capita sotto mano il progetto The Square.
Secondo l’artista che l’ha realizzato, The Square è un quadrato che diventa un santuario di fiducia e di amore, entro i cui confini tutti abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sembra un progetto utopico ma è solo posto dinanzi agli occhi delle persone come installazione fisica e viva affinché possano riflettere sulle disuguaglianze e le disparità sociali che ammalano il mondo.
La vita caotica di Christian, gli episodi imprevisti e amari vissuti senza troppo trasporto, sembrano però mostrargli, quando per il fallimento della campagna di marketing per promuovere The Square è costretto a dimettersi, che concentrarsi sul solo impatto estetico e ideale dell’arte non basta ad esprimerne in maniera incisiva le ragioni sociali.
Lo spettatore, scosso e provocato.
Il momento successivo alla visione di The Square non puoi fare a meno di interrogarti sul significato di quelle scene che ti hanno lasciato senza parole, perplesso e attonito a guardarle, con un martellante perché di sottofondo.
Non si può restare impassibili dinanzi alla scena clou in un cui un uomo scomposto e selvaggio (Terry Notary) si aggira per una sala da ricevimento all’ inizio di un sontuoso banchetto riservato alla società dabbene.
Poi dopo, quando ricostruisci il filo degli eventi, e comprendi che quel film è nato dall’esigenza non tanto di informare ma di scuotere, come a dire a tutti ma soprattutto a chi esercita professioni di rilievo (lo stesso cinema) che non è sbagliato credere nel valore della cultura, dell’informazione e dei media, e che dietro ogni prodotto deve esserci un pensiero. E dietro quel pensiero è necessario anche chiedersi cosa accadrà nella mente dello spettatore.
Responsabilità e coerenza, queste sconosciute.
È una presa di coscienza che non ha a che fare con una questione di censura e ricerca di una morale, ma con la responsabilità. Il regista svedese provoca, invitando anche alla coerenza: perché tra le righe, se di certi aspetti artistici non ci si preoccupa, è perché il primo a non farlo è chi produce.
Christian è un personaggio amorale, distante dal mondo, pur svolgendo un lavoro che richiede un costante contatto con esso. È la sintesi dell’uomo contemporaneo: approfitta della sua posizione in ogni ambito, pubblico e privato, afferma di voler parlare con il cuore ma non ha amore per chi incrocia lungo la sua strada, se non rapporti di dovere e di convenienza. Si crede forte sentendosi debole, ma ha bisogno di trovarsi in condizioni estreme per guardarsi con umiltà allo specchio.
Non stupisce che The Square si sia portato a casa la Palma d’Oro del Festival di Cannes 2017 e neppure che sia meritatamente nella cinquina dei migliori film stranieri agli Oscar 2018. È una lezione di cinema e di cultura sociale, grazie alla quale si torna a credere che un film può ancora permetterci con eleganza, compostezza e dissacrazione di sondare la nostra realtà dinamica e troppo spesso illusoria.
Valentina Esposito
Voto: 5/5
L’ha ribloggato su Il salotto di Ceci Simoe ha commentato:
La Svezia mai vista in The Square.
#Cinefatti #SettimaArte
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