Creed (Ryan Coogler, 2015)

Il trend dei reboot casca tra le forti braccia di Rocky con Creed, un ritorno stellare.

Un articolo su io9 ha riassunto alla perfezione il “difetto” di The Force Awakens. Il primo Star Wars di Lucas era un’’opera indebitata: si rifaceva ai samurai di Kurosawa, ai fumetti francesi, al western epico di John Ford. La ripresa di J.J. Abrams ha un solo padre: Star Wars stesso e basta. Da più buste di biscotti a uno solo. In tal modo l’’avventura e il divertimento sono assicurati, ma lo spirito non è cresciuto. Un difetto condiviso da molte cariatidi tornate in vita, chi meglio, chi peggio. Tranne Creed.

Sylvester Stallone è un uomo nel cui sangue scorre un talento incommensurabile per la serialità. Il suo Rocky Balboa non è mai morto, finché ha potuto salire sul ring Stallone ha continuato a indossare i guantoni: la sua era ed è ancora oggi un’a icona la cui immortalità risiede nel suo stretto contatto con lo scorrere della vita stessa. Rocky Balboa esiste, lo puoi sentire, James Bond è solo un nome nell’’aria. Ma se nel 2015/2016 siamo tornati a parlare di Rocky è grazie a un nome soprattutto: Ryan Coogler.

Siamo ai giorni nostri, la leggenda di Balboa vive la sua umana normalità tra le quattro mura di Adrian’’s, il ristorante dedicato alla moglie defunta, sepolta affianco al suo migliore amico Paulie. Mentre a Philadelphia tutto prosegue come sempre, a Los Angeles un ragazzo ribolle, il ring lo ossessiona, il richiamo del sangue lo spinge a battersi a ogni occasione: il suo nome è Adonis “Donnie” Johnson, il figlio di Apollo Creed, lo storico sfidante di Rocky Balboa, nonché amico, ucciso da Ivan Drago in Rocky IV.

Donnie non ha mai conosciuto suo padre, ma l’’aura del nome che lo circonda lo porta a vivere con la moglie di lui, disposta a fargli da madre nonostante fosse figlio di ’un tradimento e per quanto lo cresca allo scopo di dargli una vita normale, così non sarà. Il desiderio di scontrarsi coi campioni lo porta a Philadelphia, a ridare un senso alla narrazione di Rocky Balboa, a riportarlo nel mondo della Boxe, ancora una volta nell’’angolo come accadde nel sottovalutato Rocky V. Il resto è il ripetersi della storia.

Creed è esattamente questo: ripetizione. Lo sguardo al passato è onnicomprensivo, cammina col passo legnoso d’i uno Stallone invecchiato, però non dimentico del futuro: lo spirito del Rocky originario rivive attraverso la novità, segue le impronte solidificatesi nel tempo, ma vi infila all’’interno scarpe appena acquistate, le rimodella per dare al nuovo personaggio di Adonis una personalità diversa. Sogni simili, il desiderio di combattere, la voglia di farsi un nome, tutto con una sensibilità contemporanea.

E sensibilità stavolta non si traduce in ritmi odierni, Coogler modernizza l’’opera e dà un figlio ideologico a Rocky inserendo sullo schermo la propria personalità e le sue esperienze senza dimenticarsi né il contatto col passato che col futuro. Esemplare la scena che sostituisce la corsa sulla scalinata di Rocky nel primo film, la corsa tra le strade della zona nord della città circondato dalle motociclette della gente del luogo.

Il vecchio e il nuovo convivono in quegli istanti tanto nella regia quanto nelle interpretazioni dei suoi protagonisti.

Michael B. Jordan conferma Fantastic Four come un inciampo lungo il suo eccellente percorso d’’artista e Stallone, pur non meritando un riconoscimento per la sua recitazione -– non è mai stato bravo, diciamocelo – è talmente dentro il personaggio da non essere ormai distinguibile dalla sua persona reale. Ma chi più merita il plauso per l’’ottima riuscita di Creed è senza alcun dubbio Coogler, gettatosi in uno stile convenzionale solo per prendere la rincorsa verso scene di alto livello per il genere.

Il primo scontro da professionista in piano sequenza è da antologia, con trucco e luci al servizio di un’’impresa difficile quanto lo sarà la lotta finale col campione del mondo per Creed, da cui ci aspettiamo un mare di sequel belli come lo sono stati tutti i film di Rocky. A quest’’ultimo dobbiamo, è un dovere sì, dedicare le nostre ultime parole: l’’Oscar a Stallone andrebbe condiviso con Rocky Balboa stesso, l’’amico immaginario ringraziato da lui sul palco dei Golden Globes.

Uomo e mito sono fusi insieme e insieme andrebbero celebrati.

Fausto Vernazzani

Voto. 3.5/5

2 pensieri su “Creed (Ryan Coogler, 2015)

  1. Rocky è un puro eroe popolare. Proletario e nei suoi film migliori viene fuori una tenerezza e amore per l’altra america, quella minuta, quella che fatica, che mi commuove sempre profondamente. A me e al mio amico Moretti, che ama codesto eroe. Nel senso: io a Creed voglio bene a prescindere, come ami un vecchio amico. Anche se non lo vedi da anni, e io non ho visto il film

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    1. Creed non rappresenta più l’America proletaria, stavolta il protagonista ha un background diverso: un disastro familiare e una vita privilegiata senza gli affetti con cui avrebbe dovuto crescere. Ma alla fine sì, si abbraccia il proletariato, diciamo così, e quelli sono i momenti migliori ;)

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