Blue Ruin - CineFatti

Blue Ruin (Jeremy Saulnier, 2013)

Quali sono i tratti caratteristici che ci permettono di distinguere oggi il cinema indipendente americano da quello delle grandi case di produzione Hollywoodiane? È la domanda fondamentale che ci si pone di fronte ad un film come Blue Ruin, il durissimo revenge movie di Jeremy Saulnier, prodotto con sangue, sudore e lacrime grazie ad una riuscitissima campagna crowdfunding su Kickstarter e, in parte, tramite l’utilizzo di risparmi personali e prestiti chiesi alla famiglia. Inizialmente rifiutato al Sundance, Blue Ruin è stato selezionato a Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs, portandosi a casa il premio FIPRESCI e creandosi da subito una piccola grande schiera di ammiratori.

Dwight (Macon Blair) vive da anni come un vagabondo, dorme sulla spiaggia, cerca da mangiare nella spazzatura e si introduce, quando può, nelle case altrui per godersi una doccia come si deve. Un giorno una poliziotta che lo conosce molto bene gli darà la notizia che aveva aspettato tutta la vita. Dwight comincia così una grande preparazione che ha il sapore di una terribile vendetta. Una volta però portato a termine il suo obbiettivo, Dwight si trasformerà da cacciatore in preda, diventando a sua volta l’obbiettivo principale di una caccia all’uomo senza alcuna pietà.

Per raccontare la trama di un film come Blue Ruin si è obbligati a rimanere sul vago. Infatti rivelarne anche soltanto un dettaglio che entri leggermente più nello specifico ne rovinerebbe irrimediabilmente la visione a chiunque. Già dalla scena d’apertura (semplicemente geniale) si è messi di fronte ad un capovolgimento di situazione che si basa interamente sull’effetto sorpresa. E questo giocare con le aspettative dello spettatore per poi spiazzarlo completamente fa della prima parte di Blue Ruin un caso più unico che raro, capace di competere senza troppi problemi con le sceneggiature degli ultimi Coen.

Nella seconda parte il film si fa più convenzionale, mancano, insomma, ulteriori colpi di scena che appaghino le aspettative create con la bellissima prima parte, lasciandoci un film di genere ottimamente recitato e girato. Jeremy Saulnier, che per evidenti motivi di risparmio è anche direttore della fotografia del film, mostra una notevole voglia di stupire sia dal punto di vista visivo che della messa in scena. Sono molti infatti i movimenti di macchina complessi che, rifiutando a priori il montaggio, fanno di alcune sequenze delle vere apnee di tensione e adrenalina.

Ma il vero motivo per guardare Blue Ruin è senz’altro il suo attore protagonista Macon Blair. Amico di lunga data di Jeremy Saulnier, che per averlo nella pellicola ha fatto letteralmente i salti mortali, e attore disoccupato fino al momento dell’inizio delle riprese del film, è, alla fine di tutto, il motore portante dell’intero progetto. Tra le incredibili capacità di trasformazione fisica (una delle quali rappresenta forse la parte più interessante di tutto il film) e una fisiologia già di per sé particolarmente prestante per il ruolo che doveva interpretare, Macon Blair stampa in maniera indelebile l’impronta del suo volto e dei suoi occhi infiammati dall’odio sulla pellicola e sulla memoria dello spettatore. Blue Ruin è, a conti fatti, un caso unico (e lo sarà sempre meno) di cinema americano indipendente al 100%, che per portare alla luce un capolavoro ha bisogno, più che di soldi, soprattutto di tanto, tanto coraggio. Coraggio di investire in un possibile fallimento, unito alla volontà di farsi notare e quindi di creare un prodotto che resti davvero. E Jeremy Saulnier questo è riuscito a farlo e tanto basta. Adesso il prossimo.

di Victor Musetti

Voto: 4/5

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