Zoran, il mio nipote scemo - CineFatti

Zoran, il mio nipote scemo (Matteo Oleotto, 2013)

Avvinazzarsi con piacere davanti a Zoran.

Leggendo le interviste per l’uscita Zoran, il mio nipote scemo sembra impossibile disegnare un identikit di Matteo Oleotto, un factotum dell’universo lavorativo, una persona adatta al cinema direbbe Christopher Doyle, uno che ha vissuto il mondo.

Da uno così ci si aspetterebbe dei discorsi sui massimi sistemi, sul saltare da un lavoro all’altro per poi approdare al cinema e alla regia di Zoran, il mio nipote scemo di cui si parlò sommessamente, ma con un sorriso, al debutto alla Settimana della Critica di Venezia.

Una commedia brilla

Zoran, il mio nipote scemo non è un titolo esotico, né ispira molto e causa invece brividi lungo la schiena per la paura di essere testimoni di una nuova commedia italiota –non all’’italiana, ma fortuna e talento hanno voluto che così non fosse.

Ma Oleotto non racconta il classico disagio sociale, cercando di traumatizzare, sconvolgere – verbi che facilmente mutano in “torturare” – torna anzi a casa guidando un po’’ brillo, maledicendo l’’acqua ed elogiando il vino, per parlare della sua terra e della sua gente.

La zia “Anna”

Al confine con la Slovenia, in provincia di Gorizia, vive Paolo Bressan/Giuseppe Battiston, un omaccione antipatico e scorbutico, persona fatta per stare in mezzo alla gente solo per poterla insultare, opprimere ed usare a seconda dell’occasione.

Tra un vino casereccio e l’’altro, Bressan si scopre ereditiere di una lontana zia slovena, Anja, di cui nulla sapeva e da cui nulla prende, se non il titolo di zio del sedicenne Zoran Spazapan/Rok Prasnikar.

Lui l’’antisociale per eccellenza, l’’altro educato e con la voce di romanzi italiani secolari, sono un duo impossibile da unire se non per la dote numero uno di Zoran: un talento sproporzionato per le freccette.

Doppio grandioso protagonista

Battiston protagonista da favola, buca lo schermo e lo ruba non solo con la stazza, ma con la capacità di immedesimarsi in un personaggio all’apparenza piatto per tutta la durata del film, così come il giovane Prasnikar, ma la sorpresa di Zoran è in questo che si nasconde.

Amare una persona a volte è una conseguenza, è il contatto con pregi e difetti a lungo termine la causa scatenante della scintilla e così è per Zoran, per quei cinque minuti finali (e una colonna sonora da fischiettare a vita), in cui Oleotto senza stratagemmi banali cambia tono e distribuisce i mezzi per rivedere in testa la storia con una nuova prospettiva.

Lo Zagor quotidiano

Bressan e Zoran– o Zagor, come il personaggio dei fumetti con cui lo confonde lo Zio – sembravano delle macchiette senza un futuro, in realtà la loro routine quotidiana e il loro vivere da commensali a tavoli altrui e cantanti in cori odiati, li rende persone della vita al di fuori dello schermo, persone che potresti incrociare sul marciapiede tutti i giorni.

Una commedia nel senso stretto del termine, non fatta per ridere, è un’’opera leggera con le sue note basse e alte, con schemini a tratti troppo semplici e altri più complessi che fanno da vetro trasparente dietro cui sono in vista le scelte del buon Matteo Oleotto, comunque, forse, involontariamente devoto all’idolatria della tecnica di questi giorni.

Tra tante sceneggiature precotte e scaldate al microonde, Zoran è una delle poche fatte a mano e cotte in un sano forno a legna.

Fausto Vernazzani

Votto: 3.5/5

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