FEFF14: It gets better (Tanwarin Sukkhapisit, 2011)

di Fausto Vernazzani.

Cresce e cresce ancora la Thailandia e il suo Cinema. Ogni anno spunta qualche regista che fuoriesce dal limbo del sud-est asiatico per farsi notare dal pubblico globale: fu il caso di Apichatpong Weerasethakul quando vinse il Leone d’Oro a Venezia, di Pen-ek Ratanaruang, Nonzee Nimibutr e Wisit Sasanatieng, ma anche del cinema d’arti marziali di Prachya Pinkaew e Panna Rittikrai. Alla luce di queste novità dell’ultimo decennio stupisce vedere un solo film nella delicata, seppur pregiata, selezione del Far East Film Festival. L’opera in questione è It Gets Better, una pellicola che sembra sbucare dal nulla, sorprendendo chi si sarebbe aspettato di vedere qualcosa dei registi succitati, soppiantati dalla meno nota Tanwarin Sukkhapisit.

Il cinema transessuale in Thailandia ha una sua storia, legata per lo più al cinema comico, genere a cui si lega da una certa distanza il terzo sforzo registico della Sukkhapisit, la cui filmografia non ha mai dimenticato la figura del travestito, sarà perché la regista stessa è appunto appartenente alla categoria. È invece difficile a dirsi se il film prende il nome dal progetto nato su internet (l’omonimo It gets better) per la difesa della persona dal bullismo contro i gay, soprattutto per la lontananza della trama dal voler rappresentare attraverso i suoi tre episodi che scorrono in concomitanza, una qualsiasi forma di cattiveria inflitta contro l’omosessuale. Ci troviamo di fronte ad un dramma che sa far sorridere con i tempi lenti tipici del cinema thai, tre episodi tutti incentrati su tre età differenti, tre rapporti diversi con la transessualità e l’omosessualità.

Viaggiamo in una tripla Thailandia ed un triplo modo di vivere l’orientamento e, soprattutto, l’identità sessuale della Persona e non dell’uomo. C’è una donna di cinquant’anni (Penpak Sirikul) che in un auto vintage viaggia verso le campagne del nord per poi ronzare attorno al negozio di un anziano e flirtare con un ventenne. Da tutt’altra parte un ragazzino scoperto a ballare con i vestiti della madre, viene spinto a cedere ai voti monastici, costrizione più leggera quando il giovane vede i muscoli del monaco a lui superiore. In città il The Fountain è un pub il cui nuovo proprietario, un ragazzo che lo riceve in eredità alla morte del padre, decide di chiudere per intascare il frutto della vendita, ma rimane impigliato in una rete di sensuali lady boy.

Scritto – non bene quanto è diretto – dalla stessa Sukkhapisit, It Gets Better è un film in cui tutto “va meglio”, tra virgolette tanto per parafrasi quanto per una limpida apparenza, poiché lacrime e sopportazione sono parole, azioni e gesti che i protagonisti del film devono vivere con una costanza lacerante. Momenti comici si susseguono su una strada a tre corsie che mai si toccano, portando se stesse verso una linearità che rende il tempo infinito e stancante, ma che col raggiungimento del finale toccano un lirismo e una dolcezza da commozione. Non si attacca il bigottismo perché non si urla alla richiesta della tolleranza, dell’accettazione. La regista spinge il pubblico ad affezionarsi ad una storia lontana dal cinema di denuncia,  punta alla semplice maturazione della constatazione di un’esistenza che nulla ha a che fare con gli organi d’una persona quanto con il sentimento che si può provare per essa o contro di essa.

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