Con Drug War la leggenda Johnnie To approda nella Cina continentale – di Fausto Vernazzani.
Il capitano Zhang è su un autobus, infiltrato in unorganizzazione che smercia cocaina trasportandola in capsule nascoste nello stomaco e nellintestino delle persone. Jimmy sta fuggendo dallesplosione della sua fabbrica di metamfetamine, è ferito, la sua famiglia è morta e deve subito incontrarsi con Fratello Haha per fargli incontrare lo Zio Bill, ma lo stordimento lo fa schiantare con lauto in un locale. Zhang e Jimmy si trovano nello stesso ospedale, dove questultimo viene fermato e per evitare la condanna a morte per iniezione letale decide di aiutare la polizia a fermare il potente Zio Bill e tutta la setta che vi è dietro. Colpi di scena, uno dietro laltro, Johnnie To arriva a sorpresa ad impossessarsi del concorso ufficiale del Festival Internazionale del Film di Roma con Du Zhang alias Drug War, il miglior film della sua carriera, forse secondo al solo Election.
Sorprende vedere un regista come Johnnie To in prima mondiale al Festival romano, il vero grande successo del Super Direttore Marco Müller, da ringraziare da adesso fino agli anni a venire per averci concesso unesperienza così entusiasmante come la vetta del cinema di uno dei più grandi registi del panorama cinematografico mondiale, oltre che tra i top delleccellente produzione di Hong Kong. Qui cè però una differenza, To si sposta dal suo luogo abituale e gira in Cina, contribuendo a costruire la Storia del Cinema cinese, un po come lo stesso Feng Xiaogang aveva fatto giorni prima con il suo 1942, creando uno dei primi thriller prodotti nella Mainland China, dove ancora non si aveva una figura definita del poliziotto. Straordinario il protagonista Sun Honglei, forse il miglior attore cinese in campo e papabile vincitore del MarcAurelio dOro di questa VII edizione, con la sua maestria e la sua capacità di trasformarsi di volta in volta in tutte le persone che vuole, passando da unespressione ferma e decisa alla follia di Fratello Haha.
Non da meno lhabitué di To, Louis Koo, attore perfetto come suo solito, qui nella parte non delleroe, ma del cattivo, uno di quei antagonisti indimenticabili, capace di rubare lo schermo dal primo allultimo minuto, fino alla grande sparatoria finale che ha esaltato il pubblico dellAuditorium, quanto mai felice di vedere un thriller dazione così svelto in un paesaggio di cinema dautore che il genere lo aveva dimenticato o non capito. E un ritorno per To e Wai Ka-fai, collega sceneggiatore e co-fondatore della Milkyway (il logo applaudito appena iniziata la produzione, cosa mai successa in questa edizione), al thriller di The Mission o PTU, con quelle atmosfere underground, quel muoversi strisciando sul pavimento insieme a personaggi forti e carismatici la cui importanza è relativa nei confronti duna storia ben più grande che si allontana dal classico intimismo di quei personaggi (il Simon Yam di PTU) ad una più universale visione sul traffico della droga in Cina che ha per nemico il criminale di Hong Kong (Koo).
Johnnie To supera se stesso, gira con una velocità che non era nelle sue mani in precedenza, così come a lui è nuova anche la capacità di emozionare e di incollare sulla poltroncina, una caratteristica che non apparteneva ad un regista riflessivo e non dazione vera e propria come le trame dei suoi precedenti film lasciano pensare. Il territorio su cui muove la sua macchina da presa è nuovo sotto ogni punto di vista: è scaltro, rapido e più deciso nelle azioni e nei personaggi che deve mostrare ed un duo così in questo Festival ancora non si era visto. Applausi meritati, apprezzamenti che giungono da ogni angolo dellAuditorium: Marco Müller ha fatto capire a tutti che la Cina è vicina come direbbe Bellocchio che non solo gli americani sanno emozionare e far salire ladrenalina. MarAurelio dOro? Forse.

a me piacciono moltissimo anche breaking news e vendicami.Anzi io vado matto per le cinesate!
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