di Nicola Palo.
Innamoratosi di Madeleine (Madge Bellamy), il ricco Beaumont (Robert Frazer) convince la giovane ed il suo promesso sposo Neil (John Harron) a celebrare le nozze nella sua villa ad Haiti. Pur di possedere Madeleine, Beaumont si rivolge a Legendre (Bela Lugosi) che, con le sue pratiche voodoo, trasforma la ragazza in uno zombie. Anche se l’idea del mago che controlla un essere umano apatico era stata già ben sviluppata ne Il gabinetto del dottor Caligari, L’isola degli zombies è il primo film a citare e mostrare queste creature.
Ben lontane dallo zombie-cannibale di Romero, le creature che popolano il film di Victor Halperin si riallacciano direttamente alla tradizione voodoo: le figure dominate da Legendre vengono indotte in uno stato di morte apparente, grazie ad una pozione magica, e poi lasciate in una sorta di incoscienza, durante la quale eseguono ogni ordine del loro padrone. Il punto di riferimento è l’espressionismo tedesco: riprendendone tematiche e tecniche, gli zombie di Halperin rientrano pienamente nel filone dei mostri che hanno popolato la tradizione espressionista, incarnando la vita non-organica, una vita che rifiuta i limiti della Natura stessa – come abbiamo già visto ne La moglie di Frankenstein.
Nonostante sia un film low-budget, con tutti i limiti che questo comporta, L’isola degli zombies riesce a ricreare le atmosfere del miglior espressionismo tedesco. Il fondamentale gioco di luci ed ombre: le figure degli zombie, ad esempio, si mescolano con le ombre del castello, avanzando, lentamente ed inesorabilmente, dall’ombra alla luce. Il riferimento alla macchina che spersonalizza e prende il sopravvento sull’uomo, spinta fino al punto di preferire operai zombie, come avviene nella fabbrica di Legendre. Ancora, gli intensi primi piani che mettono in risalto figure e volti diafani, quasi spettrali, occhi spenti, senza l’intensa luce della vita. Sicuramente gli occhi sono la parte del corpo più ripresa nel film: complice un bianco e nero molto intenso, gli occhi degli zombie caricano lo spettatore di un’angoscia che nasce dal vedere uomini normali spenti nel loro essere, ciechi osservatori degli ordini telepatici del loro maestro.
La povertà scenografica viene riempita da questo intenso chiaroscuro che caratterizza tutto l’andamento del film, non solo nelle trame del castello, ma anche sui volti degli zombie: privati della vita cosciente, grazie ad un trucco indovinato che mantiene intatta la forma umana, i loro visi ed i loro occhi non riflettono più la luce, ma la assorbono senza restituirla, come se fossero creatori di ombra. La recitazione è, purtroppo, altalenante: se da un lato c’è l’ottima prova di Bela Lugosi, capace di evocare orrore, malvagità e lucida follia, attraverso dei semplici gesti, sguardi o movimenti, e la buona performance di Frazer, perfettamente a suo agio nel ruolo del signorotto pentito, dall’altro lato la coppia Bellamy-Harron è troppo piatta e banalmente vuota. L’isola degli zombies è un film da riscoprire, soprattutto in virtù dell’ottima regia e del grande Bela Lugosi, un piacevole modo di tornare alle origini di una figura, quella dello zombie, che verrà successivamente sconvolta dal genio di Romero, influenzando in maniera definitiva l’immaginario collettivo.
I fratelli Halperin era delle bizzarre figure per l’epoca : dei registi e produttori indipendenti ( prima ancora che si conoscesse il significato di quella parola) che creavano i loro film in proprio e poi li vendevano alle Major che offrivano di più.
Il film, come hai ricordato, si avvale di una delle migliori interpretazioni del Lugosi, pre- caduta, quando ancora era una star di prima grandezza ad Hollywood.
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Con un budget così basso (se non ricordo male, intorno ai 50mila dollari), mi chiedo come abbiano potuto permettersi un attore del calibro di Bela Lugosi, che in questo film è veramente eccezionale, quanto meno ai livelli di Dracula.
Nikolaj
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