David Bowie: L'uomo delle stelle

di Fausto Vernazzani.

Il cinema e… una frase incompleta, aggiungi una congiunzione e subito dopo qualunque cosa può aiutare a costruire un rapporto scintillante tra il grande schermo e qualunque altra cosa. La musica è stata una delle prime amicizie, antecedente al sonoro. L’ultima prova della fascinazione del cinema per il mondo della musica l’abbiamo avuta ieri sera, sul palco del Beverly Hills Hilton, alla cerimonia dei Golden Globes dove sono saliti come vincitori Lady Gaga (attrice per American Horror Story: Hotel), Sam Smith (suo il brano Writing’s on the Wall dall’ultimo James Bond, Spectre) e Katy Perry a presentare quest’ultimo.

L’entertainment è una categoria dentro cui molti giornali mettono fianco a fianco i performer d’ogni tipo. David Bowie non è una di quelle figure a cui basta aggiungere una congiunzione per descriverlo. Non è David Bowie e…, al di là dell’essere un’icona, il musicista è stato un’artista a 360 gradi col talento di distinguersi in ogni attività. Quando girò L’uomo che cadde sulla Terra, il produttore Michael Deeley lo descrisse come un professionista disposto a seguire le indicazioni dei suoi superiori – Nicolas Roeg non è certo uno qualunque -, non una pop star piombata in un mondo che non gli appartiene.

Il David Bowie di cui vogliamo (e possiamo) parlare è il Duca Bianco al cinema, l’attore che con poche partecipazioni è riuscito a entrare nella storia del cinema. Il cult fantascientifico di Roeg tratto dal celebre romanzo di Walter Tevis fu come una rivelazione: quel fisico così alieno, gli occhi di colore diverso, non erano solo animali da palcoscenico. La macchina da presa lo amava, la sua immagine trasuda carisma e nonostante tutto è possibile identificarlo per il suo personaggio, non per la sua carriera negli studi di registrazione. Sapeva farsi plasmare e non richiedeva all’immagine di inginocchiarsi al suo volere.

Stavolta è un verbo, il cinema è collaborazione , imporre la propria fama un obbligo capace di distruggere qualunque cosa – l’ultimo documentario su L’isola del Dr. Moreau con Marlon Brando lo avete visto? – e David Bowie lo ha accettato, selezionando con cura i suoi progetti. Oggi lo ricordiamo con, appunto, L’uomo che cadde sulla Terra, e lo sapete, noi di CineFatti siamo dei fantascientisti, per cui il titolo che ci sta più a cuore, ma potremmo mai dimenticare Merry Christmas, Mr Lawrence? Un film di Nagisa ?shima da  cui uscì un altro dei nostri grandi amori, all’epoca ancora noto solamente come Beat Takeshi.

Le musiche di Ryuichi Sakamoto, ieri in concorso con la colonna sonora di Revenant, sono rimaste nella storia come la sua interpretazione e quel primo piano di Kitano. Lo stesso possono dire le persone della nostra generazione, a cantare la Magic Dance insieme ai mostriciattoli del labirinto in cui si arrischiò una giovanissima Jennifer Connelly per ritrovare il suo fratellino in Labyrinth. Col cinema di genere ha avuto sempre un ottimo rapporto, al punto da partecipare alla serie che seguì il suo duetto cinematografico con Catherine Deneuve in The Hunger di Tony Scott, la Miriam si sveglia a mezzanotte italiana.

La dimostrazione della sua bravura è tutta lì, a Berlino, uno dei simboli della sua carriera della seconda metà del Novecento, a cantare  Station to Station sul sottofondo del cult di Uli Edel, I ragazzi dello Zoo di Berlino. David Bowie cantante sembra così distante dal cinema, la stessa persona in due luoghi differenti, concentrati sullo scopo e non se stessi. Ovviamente non è tutto oro quel che luccica e tra altri grandi titoli come Absolute Beginners e il Ponzio Pilato de L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, ci sono stati film meno degni di nota come Il mio West di Leonardo Pieraccioni ed Everybody Loves Sunshine.

Nel nuovo millennio sparì un po’. Meno partecipazioni, meno musica e meno concerti. Anche meno film, memorabili solo il cammeo per Zoolander e il suo ultimo “grande” ruolo per Christopher Nolan, l’autore che lo pregò di prender parte al suo miglior film, The Prestige, per vestire i panni dello scienziato Nikola Tesla. Inferiore a quanto è riuscito a fare ed essere in passato, la visione erronea di Tesla come una sorta di rock star della scienza, contrapposta allo strapotere di Thomas Edison, mette di fronte a Hugh Jackman e Andy Serkis un fantasma di David Bowie, il cantante e l’attore allo stesso tempo.

Però nel 2006 il passaggio, i Changes, avevano già preso luogo, Bowie era passato da icona a leggenda e oramai la sua immagine conferiva più forza della sua persona. Era già padre di un promettente regista, Duncan Jones, che nel 2009 ci sorprese tutti col suo magnifico debutto Moon (per il cui seguito Mute è al lavoro adesso) e sarà nelle sale a Giugno con il gigantesco blockbuster Warcraft dall’omonimo videogame della Blizzard. E c’è chi potrebbe dire The Prestige fu l’ultima volta che Bowie prese parte a un progetto cinematografico. Ma cosa dire, nell’epoca della transmedialità, dei suoi ultimi videoclip?

Alla vigilia del suo passaggio definitivo a leggenda immortale, icona storica, è uscito il suo ultimo album Blackstar, prodotto dalla Columbia, e i due singoli Blackstar e Lazarus sono piombati su YouTube con dei videoclip straordinari. Diretti entrambi da Johan Renck, sono la dimostrazione di come David Bowie abbia vissuto sempre nel tempo a cui apparteneva il suo respiro, ha seguito lo sviluppo dei media e non le sole tendenze, lasciandoci una testimonianza di cosa avrebbe potuto essere il suo futuro nella musica (e perché no, anche nel cinema), mano nella mano con l’evoluzione delle arti audiovisive.

E vorremmo continuare a scrivere altro. Le dita cascano giù sulla tastiera, un tentativo di rianimare un corpo che non c’è più a ogni lettera battuta, David Bowie è stato più di una figura della cultura globale, è stato una delle persone che ci hanno accompagnato attraverso i cambiamenti radicali del nostro tempo, ci ha rappresentato nel nostro sogno di raggiungere le stelle e ha dato voce al timore di chi da lassù ci avrebbe mai potuto guardare. Non so se riusciremo mai a ricordarlo, Bowie ha oltrepassato quello stadio. È un personaggio così legato al nostro mondo da essere presente in gran parte delle nostre azioni.

Non possiamo che concludere col saluto più bello:

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