Aladdin - CineFatti

Aladdin, it’s a-Live!

Guy Ritchie schiacciato dal peso di Musker e Clements

Ehi, ad aGhosto avevo detto che avrei recuperato vari titoli dell’anno passato e fra loro c’era lui, il remake live action di Aladdin. Tra quei titoli ancora devo guardare un film capace di farmi uscire il cuore dal petto, nel frattempo mi accontento di poter concludere su Disney+ la visione di un Guy Ritchie e… non odiarlo. Mi rendo conto, nella comunità cinefila vi sono registi abbastanza intoccabili e l’autore di the Snatch rientra in questa schiera. L’unica buona eccezione per me è il titolo che l’ha reso famoso, degli altri, nulla è tra i miei affetti.

Lo stesso recentissimo the Gentlemen l’ho trovato irritante, non perché sia in sé un brutto film, ma capita a volte di avere delle idee e dei gusti che non collimano con la forma che alcuni registi danno a una storia. Il personaggio figo ad ogni costo e quella parvenza da heist movie in cui ognuno gioca al più sveglio, tutto coca e… basta. Mi fermo perché è di Aladdin che voglio parlare, l’unico suo film dai tempi di the Snatch che mi lascia senza amaro in bocca, affermazione che scommetto i fan di Ritchie troveranno abbastanza “controversa” (=cazzata).

Perché il live?

Non solo loro, in realtà, perché attorno ai live action Disney vi è un’aura di pregiudizio e odio costante: perché farli, perché rovinare capolavori della nostra infanzia? Io non sono affatto contrario ai remake di nulla, magari storco il naso in alcune occasioni, soprattutto nel caso di rifacimenti di film da un continente all’altro – eppure Perfectos Desconocidos può rappresentare un esempio dei vantaggi di questa pratica – ma in linea di massima c’è sempre curiosità. Il caso dei live action Disney m’interessa perché mi pongo due domande:

Come un autore live action adatta il lavoro di autori d’animazione?
Sarà favorita o meno una stereotipata transizione verso l’età adulta?

Aladdin è uno dei miei classici Disney preferiti, però così direi una mezza verità: Ron Clements e John Musker sono due dei miei registi preferiti. Trovo La sirenetta un capolavoro e lo stesso Basil l’investigatopo stupendo al pari di Hercules e de Il pianeta del tesoro. Sulle loro spalle si è poggiato il rinascimento Disney dal 1989 in poi e senza la loro bravura, insieme all’occhio magico di Kirk Wise e Gary Trousdale, credo Bob Iger non avrebbe avuto le basi per conquistare il mondo. Li adoro, al punto che ho interrotto la scrittura per bermi un tè e guardare questo ►

I paletti del remake

Torno quindi un’ora dopo a batter sui tasti rendendomi conto che sì, Guy Ritchie sono riuscito a tollerarlo perché le eccellenti idee di Musker e Clements sono ancora sullo schermo. Nell’adattare i suoi classici in live action la Disney si è mossa coi piedi di piombo, iniziando il trend del dark twist alle fiabe dei primi anni Dieci in cui, sulla scia del successo dell’Alice in Wonderland di Tim Burton e del successivo Maleficent, uscirono film come Cappuccetto rosso sangue e Hansel & Gretel. Solo con Cinderella del servile Branagh sono passati alla fase copia e incolla.

Tolto Dumbo ch’era in effetti inadattabile filologicamente, il resto è stato quasi uno shot for shot con extra aggiunti per l’occasione. È una tattica valida talune volte, per quanto il risultato appaia in effetti come non necessario – definizione che uso malvolentieri – nulla si può dire contro i costumi di Jacqueline Durran per La bella e la bestia e di Sandy Powell per Cinderella, due film dal forte impatto scenico. Nel caso delle opere di Musker e Clements la faccenda si fa più complicata: il loro mondo era influenzato dalla storica magia Disney al punto da spingere la loro intera filmografia ad abbracciare qualsiasi elemento dell’immaginario con cui erano cresciuti.

Aladdin più de La sirenetta è un film esplosivo.

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E comunque Gigi Proietti fu magnifico, oh.

Fuori dallo schermo

Portò il pubblico in comunicazione diretta con la storia. Il genio della lampada disegnato e pensato per Robin Williams – saremo sempre grati per aver respirato la sua stessa aria – era un personaggio della nostra realtà entrato dentro lo schermo. L’inverso de La rosa purpurea del Cairo, in versione che più comica non si può. Il suo giocare con dettagli anacronistici e fuori da ogni legame con l’universo di una fiaba da Le mille e una notte, permetteva a Musker e Clements di scambiarsi con lo spettatore battute che non sarebbero mai state capite dai protagonisti.

Il loro genio (ah!) stava soprattutto nel volersi divertire con queste storie senza dover chinare il capo e servire un realismo irraggiungibile. Anzi, loro volevano sfruttare tutto il potenziale dell’animazione, farla giganteggiare sopra gli innumerevoli limiti del live action e dare sfogo alla loro incontenibile immaginazione. Il Genio della lampada è una delle idee migliori nella storia della Disney Animation. A tal punto che col casting giusto e un Will Smith in grandissima forma, tiene ancora botta: il film non è di Ritchie, è delle idee di Musker, Clements e Smith.

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Il principe fresh di Agrabah

Perché è lui l’unico elemento evolutosi dal 1992 a oggi. Ritchie dirige velocizzando le scene fra le strade di Agrabah dove Aladdin (Mena Massoud) e Jasmine (Naomi Scott) s’incontrano e dando un effetto abbastanza ridicolo che poco ha a che fare con le ancor meno buone idee del suo fallimentare King Arthur. Sul serio, se c’era qualcosa di bello nella sua versione del ciclo arturiano erano i combattimenti e le fughe tra i vicoli di Camelot, qui in Aladdin con l’effetto fast forward Agrabah sembra più finta del set volutamente finto del Bazar di Jumanji: Welcome to the Jungle.

Tant’è che l’inizio deve affidarsi proprio a Smith per decollare, il motore è lui sin dal principio. Finché non arriviamo alla Lampada nella grotta si viaggia nell’anonimato più totale a causa del carisma non pervenuto del duo interpretato da Massoud e Scott. Non aiuta la regia che chiude la città di Agrabah in un piccolo set colorato fatto di pochi spazi. Assente l’ambizione, la grandezza è solo dentro un rinato Will Smith, chiaramente più a suo agio in ruoli dove può gigioneggiare come un tempo, sostanzialmente fare il simpatico.

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È lui a rinnovare il personaggio facendolo suo, romantico e non spiccatamente comico come fu affidato a Williams. Si è parlato molto della crescita del personaggio di Jasmine dal 1992 a oggi, ma nei fatti resta la stessa e si becca solo una canzone contro il silenzio dinanzi agli abusi che, però, non ha alcun effetto sugli sviluppi della storia. Mentre Smith con gli occhi a cuore batte il CGI posticcio dimostrando di poter creare un Genio della lampada nuovo senza dovere in qualche modo vestire i panni dell’insostituibile Williams. Quello che manca è un aggiornamento di quel dialogo tra pubblico e Genio, qui maggiormente immerso nell’universo cui appartiene e senza essersi adeguato a un mondo diverso, invecchiato di trent’anni rispetto all’epoca in cui fu disegnato da Musker e Clements.

Il demone realista

Soprattutto non dimostra un’evoluzione della tecnica: l’esplosività di Aladdin spingeva l’animazione verso la vetta, il nuovo che dovrebbe avvantaggiarsi delle possibilità del CGI, si incaglia nelle visioni di trent’anni prima. Perché? È la stessa domanda che mi sono posto con Il re leone, dove è stata solo cambiata la tecnica di animazione e tolta espressività ai personaggi in nome di un inutile realismo. Che chiamerei anche transizione all’età adulta: la Disney produce sempre film per la famiglia, ma i suoi classici erano diretti al pubblico giovane accompagnato dalla famiglia. Oggi invece col live prova a convincere ogni membro a trovare una ragione per sedersi al cinema.

Will Smith è sicuramente fra quelle motivazioni, perché ormai sono diventati genitori molti di quei ragazzi che guardavano Willy, il principe di Bel-Air su Italia 1 e andavano al cinema a vedere Aladdin. Credo sia anche la spiegazione dietro l’eliminazione delle spalle (animali) comiche: Iago è ridotto all’osso, ad esempio, Mushu è letteralmente svanito dall’orrendo Mulan live. L’animale parlante fa troppa infanzia. Fortuna vuole sopravviva l’elemento magico col Genio, ed è un piacere vederlo più interagire col ballo e la musica rispetto alle follie che appartennero a Williams. Perché sono tratti che fanno parte del corpo di Will Smith.

“Abbiamo preso una decisione, i nostri animali dovevano sembrare abbastanza reali. Quindi il pappagallo non parla molto. Abbiamo anche cercato di stare a cavallo con la linea umoristica, ma vuoi comunque sentire la gravitas e la posta in gioco ha bisogno di essere reale.”

Guy Ritchie in un’intervista a io9

Ritchie immagino sia stato scelto perché uno come lui si sarebbe in teoria saputo muovere a meraviglia fra i vicoli di Agrabah, ma in realtà l’opzione migliore sarebbe stata un Baz Luhrmann perché in Aladdin più dell’azione conta il grandeur dell’impero ottomano d’oriente se metti il freno sulla simpatia, e chi meglio di lui sarebbe capace di portarlo sullo schermo? Ritchie qui ha un approccio teatrale che non gli appartiene, la processione del Principe Alì la si può benissimo immaginare come una scena sui palcoscenici di Broadway e senza la magnificenza che può dargli il cinema, specialmente il titanico Cinema contemporaneo. Dinanzi all’ambizione di Musker e Clements, Ritchie è piccolo piccolo. Will Smith, invece, torna il big di una volta.

Se non ci si ferma troppo a riflettere, questo Aladdin può essere godibile e lo si deve al suo nuovo comandante Mr. Smith e ai padri della storia, talmente bravi da far sentire l’eco del loro talento anche nel remake.

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Questo sono io quando penso a Musker e Clements.

8 pensieri su “Aladdin, it’s a-Live!

  1. Io purtroppo in riferimento a questi rifacimenti live-action dei film Disney rimarrò sempre il “parente” che va a vederli per la famiglia. Infatti questo l’ho visto al cinema perché ci ho portato mia nipote di 10 anni (all’epoca della sua uscita). Devo dire che nonostante fossi molto scettica, perché anche per me Aladdin è uno dei miei Disney preferiti (se non il preferito in assoluto insieme a Gli Aristogatti), tutto sommato ho amato molto Will Smith e anche solo questo elemento non mi ha fatto storcere il naso durante la visione. Tutto il resto, ovviamente lascia molto a desiderare, ma alla fine stiamo parlando di un filmetto che non vuole far altro che intrattenere senza troppe pretese.

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    1. Ma per me un film che intrattiene ha comunque la pretesa di intrattenerti e deve farlo bene, è un nobile obiettivo tenerti incollato allo schermo! Questo ci riesce, come ho scritto, grazie a quello che si porta dietro dal film del ’92 di Musker e Clements, e a Will Smith che quando fa il simpatico riesce sempre a conquistare lo schermo.

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      1. Giusta osservazione effettivamente. Diciamo che qui i due protagonisti sono anonimi come pochi visti ultimamente e ho ravvisato tutti gli altri difetti che hai citato nell’articolo. Però diciamo che l’atmosfera generale e lo spirito travolgente di Will Smith hanno trascinato il film.

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  2. Quando sono andato a vederlo non mi aspettavo niente, e invece, come te, non l’ho odiato. Certo che ha difetti enormi, tra il cast anonimo e le scenografie posticce da recita scolastica, però ha avuto anche delle intuizioni (tipo rappresentare Jafar come un Aladdin “che ce l’ha fatta”) molto interessanti, sebbene non sviluppate.

    Resta la verità innegabile che il genio (parola sacrosanta) di Musker e Clements era impossibile da replicare, ed effettivamente il meglio di questo film è diretta emanazione del loro lavoro. Ma è anche per questo che trovo deleterio riproporre i Classici tali e quali come stanno facendo: 30 anni fa, registi e sceneggiatori hanno dato la loro visione di una storia, che tutti abbiamo amato, perché non provare oggi a interpretare il racconto in modo diverso? Adattarlo in modo diverso? Per dire, sarei corso a perdifiato per vedere una versione di Mulan realistica, senza magia e senza acrobazie da ninja, solo la storia di una ragazza che si veste da uomo e va a combattere a colpi di spada per salvare il padre. Non credo che questi remake siano inutili, ma che spesso siano delle grandi occasioni sprecate, e dove si cerca di innovare lo si fa nella direzione sbagliata, come l’esempio che fai de Il Re Leone (che me ne faccio del realismo se Simba mi dà le emozioni di una scarpa???).

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    1. D’accordo pure con le virgole. L’idea di un live action di Mulan mi emozionava tantissimo perché sarebbe stato P E R F E T T O e invece mi hanno dato questa minchiata colossale dove è stato cancellato tutto ciò che rendeva il film d’animazione avanti anni luce. Mah. Pure Il re leone, l’inutilità totale. D’accordo anche sul parallelo Jafar-Aladdin, piccole intuizioni che però non hanno reso il film “unico” o “nuovo” e comunque troppo poco per cambiare un personaggio che nell’animato riempiva lo schermo. Non oso immaginare Ade come diventerebbe in un live action di Hercules.

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      1. Ssssh, non dire queste cose a voce troppo alta che poi qualcuno di Hollywood ti sente e tac! lo fa.

        Anche perché il live action di Hercules è in lavorazione sul serio; se ne sa ancora poco e niente, se non che i Russo saranno produttori, ma si vocifera che Ariana Grande sia tra i papabili per Megara (oddio…)
        E (cito): “Gli autori lavoreranno su materiale nuovo concentrandosi sulla mitologia originale, come è successo per Mulan.” Ho già i brividi.

        Certo comunque che il carisma dei personaggi animati e la loro presenza scenica raramente riesce a essere replicata nei live action. Mi viene in mente solo Cate Blanchett in Cenerentola, ma lei è una dea e può fare tutto!

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      2. Certo, perché Mulan e la mitologia originale… TOP. Hanno menato il Qi ovunque a cazzo di cane. Perdonami il francese, mi ha fatto proprio incazzare quel film. Finora l’unico che mi è davvero piaciuto, più di Aladdin che ho trovato godibile, è stato Il libro della giungla. Aveva un 3D magnifico che ti faceva entrare davvero nella giungla, in più tutti quei momenti morti jazz dell’animato erano stati levati di mezzo. Aveva un suo perché!

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