Star Trek Picard - CineFatti

Nolite te bastardes carborundorum.

Gli anticorpi dell’utopia di Gene Roddenberry

Leggevo la linguista Vera Gheno condividere la nascita del termine covidiota, appellativo utile per chi nella pandemia si comporta, appunto, da idiota. Allora in un momento di megalomania voglio dare anch’io i natali a una nuova parola: faniaco. Il fan è un individuo con una passione produttiva, felice ed è orribile come un un folto gruppo di maniaci debba connotare negativamente l’esperienza comunitaria e gioiosa del fandom.

Star Trek ha in sé una setta di faniaci che di suo è già un controsenso: uno show sull’accoglienza dovrebbe insegnare a praticare la tolleranza anziché aggredire qualsiasi ramificazione diversa dal tronco d’origine. Quando nel 2009 Abrams stupì il mondo con un film fantascientifico d’azione, che personalmente ritengo uno dei migliori di sempre, tanti, troppi faniaci dovettero rimarcare le differenze con l’originale.

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Magnate ‘o limone

Critiche emerse a ogni reiterazione del mito di Star Trek a partire dalla Next Generation hanno ingoiato un limone e inasprito il conflitto interno: qualsiasi cosa dopo la venuta di J.J. Abrams è apocrifo. Io non sono certo un fan di lunga data per motivi anagrafici, però da the Next Generation in poi ho seguito ogni viaggio interstellare senza avere mai grandi difficoltà a trovare il seme di Roddenberry in ognuno, anche quei salti anacronistici.

Trascorsi oltre 50 anni dall’inizio della TOS – e chi la cerca ancora oggi necessità di invertire le posizioni di due lettere a caso – domandarsi cos’è Star Trek è pericoloso. È un universo evoluto, la fame del frettoloso completista rischia di indurci nella tentazione di proporre una risposta articolata quando Star Trek non è altro che il sogno diurno di una società futura di creature senzienti guidate da curiosità e carità. Due grandissime virtù.

Con mezzo secolo di Star Trek il bisogno di spiegare da cosa origina è per fortuna missione dei migliori Capitan Ovvio sul pianeta, come sia invece possibile rimanere all’oscuro del perché lo Star Trek post-2009 sia cambiato non riesco proprio a comprenderlo. Quanto è diverso il mondo rispetto a due mesi fa? È così complesso immaginare l’immensità che ci separa dagli anni Sessanta? Credo di no, è solo un brutto caso di rigidità mentale.

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Picard to Enterprsie

Star Trek: Enterprise nacque vecchia come Benjamin Button in tempi mutevoli. La (neo)televisione esplorava nuove strade narrative e produttive entro cui far rientrare una serie dal modello classico significava condannarla a occupare una posizione sfavorita nel grande palinsesto televisivo. Ha vissuto comunque a lungo, lasciando tracce sparse nelle reiterazioni future, tuttavia l’avvento di Star Trek: Discovery l’ho accolto con gran piacere.

È l’era del conflitto interno fra bene e male, l’avventura dell’anti-eroe e l’immersione nelle maglie oscure del vivere ogni anfratto della società. Discovery insieme alle consuete offerte pro-inclusività ai piedi dell’altare di Star Trek offrì finalmente l’ingrediente necessario affinché l’utopia diventasse davvero tale: inasprire la necessità del dissenso per far sì che funzioni senza un’inerte auto-regolamentazione.

Sottolineo inasprire: il capitano Kirk era un indisciplinato e l’earl grey di Picard (Patrick Stewart) celava un animo integerrimo per cui difendere gli ideali della Federazione dal pericolo di rimanere sulla carta era un dovere. Michael Burnham in Discovery segue quella rotta con spirito di sacrificio sin dal pilota e ora col ritorno di Jean-Luc in Star Trek: Picard si riesuma il bellissimo modello Firefly con un equipaggio di ultimi in lotta.

I Aim to Misbehave

La prima critica a Picard è il suo aver smantellato l’utopia della Federazione. Un’istituzione prima votata al bene dei popoli della galassia si rende colpevole di indifferenza e violenze prima impossibili: l’ammiraglio Picard lascia la flotta in segno di protesta e si ritira nel suo celeberrimo vigneto. Almeno finché il passato non riemerge col volto di Dahj (Isa Briones) una ragazza che da un momento all’altro scopre di essere… la figlia di Data.

Ufficiale sulla Enterprise, amico e figura filiale per Picard rimasto orfano della next generation quando in Nemesis l’androide sacrificò la sua vita per salvare quella del Capitano. Un sentimento e una colpa d’essere sopravvissuto a Data sono la spinta ad aiutare Dahj e la sorella gemella Soji ancora ignara della sua condizione, a bordo dell’artefatto Borg reclamato dalla Federazione per liberare gli assimilati dalla loro atroce morsa del collettivo.

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Il problema è una cospirazione all’interno della stessa Federazione, guidata da una setta di romulani ancora infuriati per la perdita del loro pianeta natale – la timeline è la Kelvin – e dunque esiste solo una chance: Picard deve agire illegalmente per scoprire da dove arriva il marcio di Elsinore nella sua flotta e salvare le sintetiche da un complotto mirato a chiudersi al miracolo della vita. Qualsiasi forma decida di prendere.

Vietato ai minori di 18 anni

Col faro della giustizia spento le violenze e le discriminazioni rispuntano come funghi su e giù per la galassia. Morti ne abbiamo visti in Star Trek – specialmente se vestiti di rosso – ma le torture subite dagli ex borg (Jeri Ryan ritorna) sono una novità e mostrate con dettagli mai scritti nelle serie e nei film precedenti. In particolare la percentuale di bulbi oculare strappati è abbastanza elevata per un qualsiasi show in generale, figurarsi Star Trek.

Picard si incastra in un’epoca niente affatto gentile se pensiamo agli orrori di Westworld e la stessa Discovery in una scena dell’universo fascista vede Michael Burnham “consumare” … se non sapete, guardate. L’aumento di sangue e violenza è una scelta necessaria così come l’instillazione del dubbio: un’utopia capace di auto-regolamentarsi è la negazone stessa dell’utopia, si trasforma nel suo opposto senza la funzione fondamentale degli anticorpi.

Essere vivi è una responsabilità oltre a un diritto.

SPOILER IN VIDEO

Lo urla Jean-Luc Picard in una delle scene conclusive della prima stagione e possiamo assumerla a regola di base: mantenere gli ideali della Federazione non è solo un diritto passivo, è responsabilità di ognuno far sì che quella utopia possa continuare a essere tale, mutando di scoperta in scoperta grazie alla funzione rigenerante dell’umiltà. È questo il motivo per cui curiosità e carità sono le fondamenta dell’universo Star Trek.

Tacciata di aver tradito il sogno di Gene Roddenberry, Picard è in realtà la sua incarnazione migliore al momento: rispetta lo spirito del tempo e invita a sfidare anche il migliore dei mondi per far sì che possa restare tale dimenticandosi di esserlo. Il migliore dei mondi è quello che non si ritiene mai tale. Un messaggio ovviamente diretto agli states trasformati e separati della loro innocenza dal mostruoso Donald Trump.

Il soffitto di cristallo

Sfondato a partire dalla bellissima sequenza dei titoli di testa. L’inclusività è un’idea fondante, ora Picard ricorda il valore degli ultimi dandogli una sedia sul ponte di comando e non solo la presenza episodica nelle narrazioni verticali. Crolla un frammento del soffitto e si ricompone sul volto di Picard. Il lavoro nelle serie precedenti abbandonato nelle mani del passato fuori-scena ora è in primo piano: come si arriva all’utopia?

È facile oggi – di certo non negli anni Sessanta – sperare in un futuro dove i conflitti sono stati superati, è difficile sognare la lotta grazie a cui può essere reso realtà. Trump è un simbolo di cui esistono mille volti in giro per il mondo, la lotta per sfondare il soffitto di cristallo è internazionale e la consueta goccia nell’oceano può molto, anche se ha commesso errori su errori in passato, persino imperdonabili. Picard ha peccato di indifferenza.

Star Trek: the Original Series l’ho vista persino dopo the Next Generation e dunque non potrò mai definirmi un fan della prima ora, ciò non toglie quanto mi emozioni con la storica colonna sonora di Jerry Goldsmith e con tante visioni di Star Trek sulle spalle credo di poter contraddire chi individua un tradimento nel coraggio di Picard. Niente di nuovo nel mondo fantascientifico in generale (Firefly!) ma nel suo universo narrativo, sì.

Star Trek puro.

Nota personale: preparatevi a versare tante tante lacrime sul finale.

p.s. a chi sostiene Picard ignori la scienza al contrario delle altre serie dico solo Q.

4 pensieri su “Nolite te bastardes carborundorum.

  1. Faniaco. Mi piace molto come parola. Io ho avuto a che fare con quelli di Star Wars che hanno fatto una tragedia immensa per l’episodio VIII (episodio che reputo a mio avviso incredibile nella messa in scena e che prova con coraggio a narrare qualcosa di veramente originale e nuovo) , costringendo perfino alcuni attori a chiudere il loro account Instagram e altri comportamenti cattivi. Immagina cosa hanno combinato con l’episodio IX, episodio fatto per accontentarli ma che alla fine si è rivelta una specie di fan fiction.
    Ecco, Picard non è una fan fiction ma incarna abbastanza bene quello che è sempre stato Star Trek. E anch’io mi sorprendo di quanto i fan abbiano una mente così ristretta, visto che la serie parla di esplorare sempre nuovi orizzonti (in tutti i sensi). E Star Trek lo ha sempre fatto anche in un periodo storico in cui c’erano differenze ben peggiori di oggi (anche se purtroppo persistono ancora).
    Ottimo articolo!

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    1. Grazie! Sono d’accordo sull’episodio VIII di Star Wars, mi è piaciuto molto come Johnson ha voluto scrivere una sua versione, cosa che del resto fece lo stesso Lucas, con diversi risultati, quando uscì con la sua seconda trilogia. Fu assurdo quello che seguì la sua uscita e ogni volta che una saga ritorna sullo schermo c’è sempre questo velato nazismo del supposto fanciullino cresciuto a pane e Last Starfighter – tutto da dimostrare poi.
      Alla fine si vede subito chi è fan e chi no da quanto segue il messaggio. Trovo ad esempio pazzesca la rassegnazione di chi ama Il signore degli anelli, un’epica sul valore delle gocce in un oceano.

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