Da Ida a Cold War, la Storia in 4:3
Chissà se quattro occhi sono meglio di due quando si tratta di fare da testimoni alla Storia.
Cold War lascia il quesito in sospeso, preferendogli un ballo lento e senza appigli.
Dall’autore di Ida e My Summer of Love arriva un secondo racconto in bianco e nero degli eventi che hanno segnato l’Europa novecentesca, un racconto visto e vissuto dall’interno del doppio sguardo di due amanti.
L’eleganza del polacco
Per Pawel Pawlikoski tempo e immagine sono in 4:3, scanditi dalla musica e dall’eleganza.
Tutto comincia a svolgersi in una Polonia post-bellica e rurale macchiata di fango, dove volti arrossati e ingenui cantano alla macchina da presa le note di una tradizione lontana; la stessa che l’accademia artistica di Wiktor (Tomasz Kot) vuole riportare al centro della vita del Paese.
E poi c’è una ragazza bionda che sembra uscita dalle tavole di Milo Manara e, cantando, colpisce e affonda: si chiamerà Zula (fuori dal film è Joanna Kulig) e porterà la patria fuori dai suoi confini.
Ars amandi
Dalla persecuzione degli ebrei di Ida si passa a quella degli emigrati in Cold War, narrazione sottile e implicita tessuta intorno alla cortina di ferro.
Wiktor e Zula si amano di un amore folle e intermittente come il viaggio che la loro terra d’origine – bella e perduta, citando Quinlan.it. – li costringe a intraprendere, e danzano sulle righe di una partitura cangiante che ad ogni tappa assegna una tendenza musicale e un mood diverso.
Inevitabile è allora l’unirsi di arte e passione, ciascuna il racconto dell’altra, bussole pazze nei labirintici corridoi della storia umana e dei suoi errori.
“Portami via da qui”
La ben più piccola storia di Zula e Wiktor però arranca prima di ingranare, il che avviene quando all’intermittenza della storia d’amore va a sovrapporsi, finalmente, quella del montaggio.
Ma la malinconia non basta a dar slancio a un film che per quanto eccellente sul piano della forma risente della sua stessa ricercatezza, il vero muro fra cuore e mente.
Finale a parte, con quel campo che svuotandosi riscalda e gratta dentro, Cold War resta freddo come la guerra sul suo sfondo.
Francesca Fichera
Voto: 3.5/5
Un film che quindi riesce a colpire per la sua bellezza tecnica ma che dal lato emotivo non raggiunge i livelli del primo. Comunque sia dovrei vederlo, insieme a Roma e a tanti altri.
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Di Roma parleremo a breve, intanto l’intenzione di guardarlo è senza dubbio da assecondare :)
In quanto a Pawlikowski, resta un autore da seguire comunque e nonostante l’umanissima imperfezione dei suoi lavori.
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L’ha ribloggato su La finestra di Hoppere ha commentato:
Cold War – Una recensione
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Un ottimo film, ne abbiamo discusso anche da noi, passa se ti va!
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