L'uomo di neve - CineFatti

L’uomo di neve: Noi crediamo in Fassbender

L’uomo di neve diventa ghiaccio sotto lo sguardo freddo di Tomas Alfredson.

Quel brivido seguito alla visione di Lasciami entrare non mentiva, il regista svedese Tomas Alfredson era spuntato dalla neve per restare. Il successivo La talpa si avvicinò al capolavoro e sotto questo lodevole peso la delusione data dal nuovo L’uomo di neve colpisce con la forza di una valanga, forse più del dovuto.

Preso dal mucchio della serie sul detective Harry Hole dell’autore norvegese Jo Nesbø (amato nelle sale con Headhunters e in Tv con Okkupert), L’uomo di neve si svolge come un classico thriller dai risvolti prevedibili e col consueto detective protagonista spezzato dall’alcol e da una situazione familiare non tanto disastrosa, quanto confusa.

Il killer dei pupazzi di neve

Mentre il nostro investigatore dorme ubriaco sui marciapiedi e nei parchi, presentato con poca dovizia di particolari quasi fosse un personaggio già consegnato alla storia (Nesbø è in effetti autore da 30 milioni di copie vendute), un killer smembra donne e lascia come firma un attonito pupazzo di neve nelle vicinanze.

Il fil rouge che lega gli omicidi è il rapporto complesso coi figli, condiviso dallo stesso Hole ma non dalla sua nuova partner interpretata da Rebecca Ferguson, impegnata invece a trovare un collegamento tra la morte di suo padre, un Val Kilmer breve ma intenso, il killer L’uomo di neve, e il multi-milionario Arve Støp.

Un canovaccio sfilacciato

Il successo nel filmare una trama complessa come quella de La talpa di John Le Carré resterà un mistero come l’incapacità di dare a una semplice sequenza di eventi un aspetto più coerente. Vi sono sottotrame a non finire, ognuna con attori importanti ingaggiati per pochissimi mintui (vd. Toby Jones e Chloe Sevigny) e per cosa?

Scarso approfondimento dei personaggi di contorno che porta allo spreco di interpreti di enorme talento come David Dencik (eccelso in Regression e Men & Chicken), storyline create per sviare lo spettatore e poi lasciate appese a mezz’aria senza spiegazione. L’uomo di neve si chiude in cerchio, ma dentro contiene troppo di irrisolto.

In Fassbender We Trust

È facile tanto quanto ovvio, dunque, scegliere di concentrarsi sull’aspetto migliore del film, ovvero il suo protagonista Michael Fassbender, su cui la riscoperta del campo lungo di Alfredson, dopo la pioggia di primi piani ne La talpa, calza a pennello.

Circoscritto nella neve e con gli occhi rossi per il sonno e l’alcol, è un personaggio convincente pur essendo assente la componente del background costruito nel corso di ben sei romanzi antecedenti L’uomo di neve.

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Forse un vantaggio per un Fassbender portato così a vestire il cappotto concentrandosi sulle emozioni del momento e a reagire alla storia. È un attore sempre coinvolto nei suoi personaggi e dalle immagini traspare quanto sostiene Tomas Alfredson:

Direi che Fassbender ha una carenza di vanità. Quando è al lavoro puoi davvero sentire che non si mette mai dove ha il profilo migliore.
[Picture House]

Ne L’uomo di neve infatti il lato sensuale è lasciato interamente nelle mani della fragile Ferguson, anche nel rapporto solo all’apparenza teso con Fassbender, troppo investito dai suoi demoni personali per fuoriuscire dal guscio, anche con la moglie filmica Charlotte Gainsbourg. Harry Hole è percepibile come un vuoto in mezzo alla neve.

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L’uomo felice

A riscattare il pericolo di crollo de L’uomo di neve, nonostante le molte belle immagini di Alfredson – spesso legate al piccolo personaggio di Val Kilmer – è dunque l’uomo felice, quel Fassbender descritto così da David Cronenberg ai tempi di A Dangerous Method:

Un giorno lo trovai fuori al sole nel suo costume di scena e col trucco addosso, con un sorriso a 32 denti. Gli dissi, ‘Michael percché stai sorridendo così?’ Lui rispose, ‘Non lo so… la vita.’ Replicai, ‘È così irritante vederti felice tutto il tempo.’
[The Indpendent]

È un attore immerso al 100% nel suo lavoro, è un attore degno della nostra stima, è un valido motivo per andare al cinema a dare uno sguardo alla sua performance introspettiva ne L’uomo di neve così come lo fu per l’ancor peggiore Codice criminale di Adam Smith qualche mese fa. Su Tomas Alfredson cosa aggiungere, ci ha dato tanta bellezza in passato che non potremmo non dargli fiducia per il futuro.

Fausto Vernazzani

Voto: 2.5/5

6 pensieri su “L’uomo di neve: Noi crediamo in Fassbender

  1. Fassbender è uno dei miei attori preferiti, ma qui nemmeno lui è sufficiente per salvare il film. Piatto, banale, scritto svogliatamente e senza passione. Non ho mai letto niente di Jo Nesbø, per cui non posso fare un confronto con il romanzo originale, ma questo è davvero un brutto film. Peggio di tutto, è noioso, cosa imperdonabile per un thriller. E pensare che Lasciami Entrare è così un bel gioiellino…

    L’aneddoto di Cronenberg è bellissimo, mi ha fatto sorridere.

    Piace a 1 persona

    1. Lasciami entrare è stupendo, La Talpa ancora di più per me. Qui ne L’uomo di neve ho visto l’ombra di ciò che rende grande Tomas Alfredson, ma nulla di più. Devo dire però che Fassbender mi è piaciuto molto, non salva il film, ma riesce a rendere il film meno doloroso. Perché sì, di noia ne ho trovata un bel po’ anche io!

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  2. Questo film mi attira molto, anche se devo ammettere di essere tra i (pochissimi) detrattori de “La talpa”. La tua recensione mi ha incuriosito ancor più :-)

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      1. No, non ne ho scritto. Ti rispondo con schiettezza: mi annoiò a morte… La spy-story nei miei gusti non può coincidere con la lentezza, non è che mi aspetto Fast & Furious per carità, ma la spy-story ad azione contenuta è una pizza senza sale.

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      2. Ah, è il motivo per cui a me è piaciuta :) una spy story che lavorasse col cervello delle spie e non col muscolo di James Bond (o altri suoi compagni cinematografici). È il mio Gary Oldman preferito poi, mi ha lasciato di stucco.

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