Venezia71: The Postman's White Nights (Konchalovsky, 2014)

di Arturo Caciotti.

Un postino attraversa tutti i giorni, in barca, il lago su cui si affaccia la sua cittadina, un luogo isolato e fuori dal tempo che pare lontano anni luce dalla civiltà, per consegnare lettere agli abitanti. Tra amicizie, piccoli amori e contrasti, c’è chi rimane e chi partirà. Sembra uscito fuori da una dolce notte di sesso tra un racconto di ?echov e un film di Tarkovskij The Postman’s White Nights, l’ultima fatica di colui che è stato allievo e collaboratore proprio del regista de L’infanzia di Ivan e SolarisAndrei Konchalovsky.

Si tratta di una bellissima pellicola, dalle atmosfere sospese eppure reali, ambientata in un luogo esasperatamente fuori dal tempo e dallo spazio ma su cui grava la mistica forza assorbente del progresso. Il ritmo narrativo è lento e spiccatamente riflessivo, una riflessione che si incentra sulla bellezza immota e assoluta, ma non davvero sublime, della natura. La natura avvolge e incornicia quel gruppo di case che i protagonisti chiamano “paese”, ed è una natura tanto viva quanto disinteressata, che scorre placida come le meravigliose acque del lago che Koncalovskij inquadra così bene.

Il tempo che avanza come un lento valzer, non ha scosse e non conosce turbamenti, si contrappone ad un essere umano che sembra adagiarsi e farsi cullare da questo, ma è poi capace di azioni repentine e imprevedibili che sconvolgono la comunità. Il paesino è anche un luogo vagamente metafisico (e qui si vede molto l’influenza di Tarkovskij), con strane apparizioni e apparenti allucinazioni che sembrano fuoriuscire direttamente dal vento freddo e che angosceranno per tutta la durata il protagonista Ljokha. The Postman’s White Nights è proprio un’analisi della suggestione del tempo, di chi vuole velocizzarlo e lasciare la campagna per la città, e di è abituato a godersi l’incanto immutabile degli elementi naturali, tanto da chiudersi in una piccola ed eccentrica comunità dove i vari “tipi” della società si ripropongono con una ridondanza quasi mitica, inesorabile.

Ottime la regia (che potremmo definire amorevole, per quanto cura e coccola ogni elemento che inquadra) e la fotografia, sorprendentemente bravi gli attori che, come specificato dai titoli di testa, attori non sono, bensì i veri abitanti di quel piccolo paese. Ma non è un documentario, è finzione, ed è davvero un bel film.