Titan A.E. - CineFatti

Top Ten Sci-Fi dimenticati del nuovo millennio

Fuori dalle Top Ten Sci-Fi, 10 titoli di alto valore da riscoprire.

Il cinema di fantascienza su CineFatti è tenuto in grande considerazione, un genere bistrattato dall’Italia, non solo in termini produttivi, ma anche di pubblico, da sempre fedele alle produzioni statunitensi, ma mai propensi a definire film simili qualcosa di più di un semplice motivetto creato per puro intrattenimento.

Eppure di capolavori ce ne sono tanti, riconosciuti, come 2001: Odissea nello Spazio, il più recente Blade Runner, e i più coraggiosi si azzardano a nominare – a ragione – anche il duo Ghost in the Shell di Mamoru Oshii. In realtà ce ne sarebbero tanti, lo stesso Solaris andrebbe visto sotto una luce più popolare, sia nella versione letteraria che filmica.

Negli ultimi anni, con l’avvento e il successo dei VFX, la produzione straniera (e non solo) ha dato vita a una vera e propria catena di montaggio industriale. Se molti dei titoli recenti li ricordiamo con affetto, altri cascano nel dimenticatoio, poco apprezzati o poco pubblicizzati, relegati in cassetti in cui forse, senza saperlo, abbiamo abbandonato alcune delizie, forse non eccezionali, ma da riscoprire per dar loro una seconda chance.

Pitch Black

Inizio con il peggiore di questa lista, anche uno dei titoli più famosi, al punto da aver creato il franchise incentrato sul protagonista del film di David Twohy, Riddick, un criminale spaziale interpretato dalla voce cavernosa di Vin Diesel. L’attore col tempo al personaggio si è affezionato, più che al suo secondo celebre personaggio Dominic Toretto della più fortunata saga di Fast and Furious.

Pitch Black non è molto di più di un classico film d’azione a tema fantascienza, con dei salti nell’horror e nello splatter puro, rimandando a quel lato drammatico ed inquietante del genere legato ad Alien. La storia è quella dell’astronave Hunter-Gratzner, precipitata su un pianeta abbandonato prossimo ad essere oscurato da una rara eclipsi dalle cause fatali per il gruppo di sopravvissuti all’incidente, tra cui il pericoloso Riddick, uomo senza scrupoli capace di vedere nel buio. Un film da guardare sotto un’altra luce.

Titan A.E.

Don Bluth un tempo lavorava per Walt Disney, ma era un regista troppo coraggioso e intraprendente per l’azienda di Mickey Mouse. Così fu che si staccò, creando un proprio studio dove produsse e diresse alcuni dei migliori film d’animazione che possiamo ricordare. Alla ricerca della Valle Incantata è il più celebre, ma molti sembrano essersi fatti sfuggire uno dei titoli più recenti, Titan A.E..

La sigla ce l’ha spiegata lo stesso Shyamalan, A.E. sta per After Earth, un pianeta abbattuto da una razza aliena che ha decimato gli umani, trasformandoli in una specie in estinzione che vaga nello spazio priva di un futuro. Cale Tucker era il figlio di chi riuscì a salvare quanto più è possibile del nostro pianeta, un ragazzo disilluso, un piccolo teppista con un segreto che potrebbe risollevare l’umanità dal baratro. Animazione per bambini e non solo, sicuro è che Bluth e Goldman hanno creato un piccolo cult.

Il pianeta del tesoro

Il duo John Musker e Ron Clements è responsabile per aver avviato la new wave della Disney nel 1989 con La Sirenetta, e nel 2009 di nuovo tentarono di riavviare il braccio bi-dimensionale con La principessa e il ranocchio, fallendo, ma prima della black tale di New Orleans, ci fu la rivisitazione del classico di Stevenson, in chiave sci-fi.

Il pianeta del tesoro è più famoso per la canzone di Max Pezzali (Ci sono anch’io), cantata in originale dal John Rzeznick dei Goo Goo Dolls, e non si può dire sia un capolavoro del genere, ma che si tratta dell’ultimo vero grande classico della Disney, penso di sì.

Jim Hawkins è un bambino amante delle storie di pirati e viaggi spaziali, senza idea che il futuro gli riserverà un viaggio verso il leggendario pianeta del tesoro del capitano Flint, per di più in compagnia del temuto cyborg John Silver. Insieme a Le follie dell’ImperatoreIl pianeta del tesoro poteva essere la vera nuova strada della Disney.

Il tempo dei lupi

Può essere scorretto parlare di Le temps du loup come di un film di fantascienza puro, sicuro è che lo si può ascrivere alla lunga, sempre più lunga, lista di film post-apocalittici. Parlando di Michael Haneke può risultare chiaro come questo si possa definire uno dei migliori film mai girati sul tema, il più crudele com’è solito al regista di Funny Games.

Homo homini lupus. Un tempo in cui la devastazione ha distrutto la civiltà come la conosciamo, non ci è dato sapere perché, ci è concesso di osservare gli uomini trasformarsi in lupi, ognuno pronto a difendere il proprio branco a costo di distruggere gli altri o se stessi.

Il finale di fronte al fuoco è una delle scene più belle mai girate nella carriera intera di Haneke, una picconata in mezzo al cuore che ben può rappresentare il cuore di un genere cinematografico legato alla fantascienza che necessiterebbe di meno retorica e più cervello.

Nothing

Una delle notizie più tristi di quest’anno è il sapere che il canadese Vincenzo Natali non dirigerà più l’adattamento cinematografico del classico del cyber-punk Neuromante di William Gibson, ma per consolarci c’è la sua filmografia passata.Dal famoso Cube al brillante Splice, passando per i due film minori nel mezzo, CypherNothing, entrambi a tema fantastico, firma stilistica del regista.

Andrew e Dave (David Hewlett, attore feticcio di Natali) vivono nel terrore di dover affrontare il mondo rinchiusi in una casa destinata alla demolizione, abbandonati da lavoro, dignità e il rispetto della società, fino a che un giorno il loro desiderio di essere lasciati in pace non si avvera e tutto ciò che è attorno a loro svanisce.

Un’avventura nel nulla, in cui la pace e il sogno di far svanire le cose indesiderate è realtà, ma la convivenza nel bel mezzo del Nulla non è affatto detto che sia facile. Un’idea strana, ben eseguita e grande spunto di riflessione.

The Place Promised In Our Early Days

Il nuovo Miyazaki, così si disse per qualche tempo di Makoto Shinkai, astro nascente degli anime giapponesi, un ormai affermato regista che si può annoverare tra i migliori nel suo campo, la cui piazza è aperta dal momento in cui il regista de La città incantata ha deciso di lasciare la porta spalancata alle nuove generazioni.

Già con il suo mediometraggio La voce delle stelle, Shinkai aveva dimostrato di avere nell’anima lo stesso spirito che ha guidato Hideaki Anno nella creazione del suo Evangelion, uno dei capolavori sci-fi dell’audiovisivo.

The Place è un racconto nostalgico di tre ragazzini che sognano di poter volare attorno alla gigantesca torre di Hokkaido, dove si studiano modi per aprire passaggi verso universi paralleli. Un regista ancora poco noto in Italia, ma di cui è già stato distribuito qualcosa, un motivo buono per approfittarne e recuperare un grande film, non solo per la sua storia, ma anche per l’eccellente tecnica, un’estrema forma di apprezzamento nei confronti della macchina da presa, elemento assente nel cinema d’animazione.

Southland Tales

Se Donnie Darko era un film ingarbugliato, persino In Trance viene definito tale, allora Soutland Tales, secondo film di Richard Kelly, deve essere l’opera più incomprensibile mai girata da un essere umano su questo pianeta.

La Terza Guerra Mondiale ha cambiato il pianeta. Gli Stati Uniti in guerra contro il medio-oriente e non solo necessitano di una nuova fonte energetica, e nel moto perpetuo delle onde trova il Fluid Karma inventato dal Barone von Westphalen.

È tempo di elezioni e la California possiede il voto decisivo, ed è anche lo stato cavia per il nuovo progetto di sorveglianza della US-IDent gestita dalla moglie del candidato repubblicano, la cui figlia sposata con l’attore Boxer Santaros si ritrova tutta sola in seguito alla sua scomparsa.

Boxer è perso in un’amnesia e finito nel letto della celebre pornostar Krysta Now, con cui si appresta a scrivere la sceneggiatura di un film che prevede la fine del mondo, e con l’aiuto del confuso poliziotto Roland Taverner, che li aiuterà a calarsi nel personaggio, dovrà battersi contro una strana forma di dissociazione dallo spazio che lo circonda.

Spiegare i film di Kelly è come sempre un’impresa, ma siamo qui di fronte all’opera di un genio, nonché a uno dei migliori film girati lo scorso decennio, con un cast incredibilmente di talento composto da Dwayne JohnsonSarah Michelle Gellar, Sean William Scott e un narratore d’eccezione: Justin Timberlake.

Repo! The Genetic Opera 

Anthony Stewart Head molti di noi lo ricorderanno per il suo Rupert Giles in Buffy: The Vampire Slayer e vederlo smembrare e sventrare chi non paga i debiti nel musical horror a toni fantascientifici Repo! è un vero e proprio shock.

Nel futuro la chirurgia farà miracoli e l’epidemia che ha colpito l’umanità debilitandone gli organi interni è combattuta dalla GeneCo, disposta a salvare la vita delle persone , purché accettino una piccola clausola del contratto: chi non riesce a pagare le rate dovrà restituire ciò che gli è stato venduto, senza possibilità di ribellione.

Qui entra in gioco il Repo Man/Nathan Wallace, al servizio del clan di Rotti Largo/Paul Sorvino, e una lunga lotta per la salvezza contro la GeneCo e gli organi di ogni essere umano assuefatto e non alla nuova ossessione della chirurgia facile. Più horror che fantascienza, sicuramente un trash firmato dal regista dei sequel di Saw, da vedere cercando di far finta che Paris Hilton non sia davvero nel cast.

Ember

La scrittrice statunitense Jeanne DuPrau scrisse un romanzo post-apocalittico per ragazzi, The City of Ember, tradotto in immagini dal buon regista dell’horror d’animazione per ragazzi, Monster House, artigiano su cui in molti avevano riposto fiducia. C’è chi dice che sia stata mal riposta, c’è chi invece crede abbia dato il meglio di sé nel raccontare la vita di Ember, una città sotterranea sopravvissuta all’olocausto nucleare che secoli fa rese la superficie inabitabile.

Ora la corrente elettrica sta per terminare, le scorte alimentari anche, e il sindaco Cole non sembra preoccuparsi tanto quanto Loris Harrow e suo figlio Doon. Un cast eccellente con Bill MurrayTim RobbinsMartin LandauToby Jones nei ruoli adulti d’accompagnamento alle avventure in chiave steam-punk (genere ancora non ben sfruttato dal cinema) dei giovani Harry Treadaway e dell’ottima Saoirse Ronan.

Journey to Saturn

“Tua madre gonfia banane giganti” è tutto ciò che in Italia si conosce di uno dei migliori studios d’animazioni del globo, la Einstein Films, danese e guidata dal duo registico Andersen e Christoffersen, autori di Terkel in Trouble, doppiato dagli Elio e le storie tese, il più recente Ronal the Barberian e il film di mezzo, Journey to Saturn.

Animazione in CGI, un branco di danesi dissacranti al limite dell’umana sopportazione, nulla viene lasciato intentato, nulla è risparmiato dall’ossessiva critica alle convenzioni sociali di qualsiasi tipo, nemmeno San Pietro sfugge alla brutalità della Einstein.

Journey è il loro attacco alla fantascienza. Un bizzarro assortimento di astronauti danesi viene spedito su Saturno da un magnate in cerca di nuove risorse energetiche, ma quel che trovano è una razza aliena dai costumi assurdi pronta a derubare la Terra di tutta la sua acqua. Un must imperdibile per gli amanti del cinema sboccato e demenziale.

Fausto Vernazzani

2 pensieri su “Top Ten Sci-Fi dimenticati del nuovo millennio

    1. Liberamente tratto, tieni a mente ;) sappi che comunque è molto carino, ovviamente è Disney, ma si mantiene su un ottimo livello. Gli altri invece garantisco che son tutti buoni film, ognuno per il suo scopo!

      Faust

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